mercoledì 22 luglio 2009

I giovani e la politica


Della generazione «under 30» sono state date descrizioni più o meno fantasiose dai mezzi dell'opinione pubblica e dal mondo intellettuale. Generazione post-ideologica, bulli e senza educazione civica, protagonisti dell'era delle passioni tristi, frutto avvelenato dell'epoca televisiva. Quanti non hanno mai sentito gli adulti ragionare in questi termini dell'universo giovanile? E i giovani si ritrovamo in queste definizioni, che li descrivono senza punti di riferimento valoriali che non siano quelli trasmessi dai talk show televisivi?

Se queste definizioni sono giuste, e se davvero rappresentano in maniera efficace tale generazione, allora ci troviamo di fronte a dei giovani abbandonati ad un individualismo totalizzante, in cui quello che interessa è esclusivamente la propria affermazione e il soddisfacimento dei propri bisogni personali. Insomma, tanti piccoli tronisti o aspiranti veline alla maniera di “Ricordati di me” di Muccino.

In tale contesto, probabilmente non c'è spazio per la politica, se non in chiave minoritaria o forse riservata a piccole elites. Se i giovani sono tutti bulli o esclusivamente interessati alle scarpe di marca, e se non hanno ideali di alcun tipo, perché dovrebbero essere partecipi di uno spazio pubblico? Forse l'unico momento di partecipazione sarebbe il voto, in alcun modo legato a dei riferimenti ideali, ma solamente all'affidabilità dei candidati o alla particolarità di alcune proposte politiche. E l'unica politica possibile a cui si potrebbe aspirare e su cui un movimento politico guadagnerebbe consenso sarebbe quella del pragmatismo della buona amministrazione.

Questa è l'immagine che in gran parte viene data degli «under 30». E le manifestazioni di cui pure i giovani si sono resi protagonisti nello scorso autunno contro il ministro Gelmini sono state spesso derubricate ad espressione di una minoranza radicale, frutto più di un disagio giovanile che di una consapevolezza politica.

Ma è questo il caso? I giovani rappresentati in questo schema?

Certo forse è vera una cosa di questi ragionamenti. Ed è il rischio del ripiegamento di una generazione nel privato, in una dimensione sociale che diventa apolitica. Si rischia di pensare che la dimensione dell'impegno civile sia inutile perché priva di concretezza e di effetti reali sulla vita delle persone. Un ripiegamento non tanto quindi per una presunta mancanza di valori civili tra i giovani, quanto per l'assunzione piuttosto radicata nella società che un cambiamento profondo in questo paese la politica e in particolar modo i partiti non sono in grado di portarlo, e che la politica in fondo non è molto più che populismo per attirare consenso.

I partiti appaiono deboli e senza bussola di fronte alla forza e alla concretezza delle lobbies e degli interessi dei potentati. Si rischia di credere che la realtà sociale sia dettata da comportamenti degli individui e dei corpi sociali immutabili nel tempo. D'altra parte nel senso comune, per fare degli esempi, quando si parla di una burocrazia lenta ed inefficiente, di un'istruzione incapace di rispondere alle sensibilità dei giovani, si pensa che questi problemi non verranno mai risolti.

Le questioni aperte di fronte a noi, ed in particolar modo alla generazione «under 30», sembrano talmente grandi che appaiono spesso insormontabili. Costruire davvero la dimensione europea della vita civile, trovare nuove forme di welfare che servano a superare la precarietà, lavorare per avere una pensione dignitosa, ripulire la politica dai fenomeni di corruzione e liberare il nostro paese dal problema della criminalità organizzata, sono solo esempi di problemi vecchi e nuovi di non facile soluzione, che richiedono riforme o processi sociali coraggiosi. Riforme che cozzano contro interessi forti nel nostro paese, e che spesso la politica sembra troppo debole e complicata per affrontare. E quindi le percepiamo troppo spesso come questioni insite nella società, quasi come un peso imposto, condizione accessoria del vivere assieme. Cose da cui non si può fuggire se non magari cambiando paese, perché non c'è modo di cambiarle attraverso processi di emancipazione collettiva. La cultura ci ha abituato troppo al supereroe, con cui ci possiamo identificare ma che possiamo anche ritenere irrimediabilmente lontano da noi.

E allora che senso ha la politica per un giovane, se sembra non riuscire ad incidere sui problemi delle persone e della collettività? Se il problema principale dei partiti diventa vincere le elezioni successive e produrre una mera alternanza del potere nelle istituzioni, allora tutto viene sommerso dal tatticismo della politica mediatica e scompaiono le grandi battaglie politiche.

In quest'ottica però il problema allora non è l'incapacità di una generazione di sentirsi “animali sociali”, ma la debolezza della politica in questo ultimo decennio nell'incidere sulla realtà e sull'immaginario sociale indicando una prospettiva chiara di futuro e sulle priorità che aveva in mente. Una politica spesso troppo astratta, vissuta nel dibattito pubblico esclusivamente attraverso i giornali e la televisione, che non ha chiesto la partecipazione attiva dei cittadini e dei giovani fra questi, ma solo un voto o nel migliore dei casi un supporto da “fan”.

D'altra parte non ci si può stupire, perché sono i partiti stessi che in questi anni hanno spesso teorizzato la fine delle ideologie e la supremazia del mercato sulla politica. Questo in teoria avrebbe dovuto portare sempre più benessere alla collettività. Un mercato sempre più in grado di permeare la società e di ridurre lo spazio delle scelte pubbliche, con la finanza a farla da padrone. Ed in un contesto come questo la politica ha teorizzato la sua inefficacia, riducendosi a buona amministrazione nel migliore dei casi, e quindi ad una contesa su chi fosse in grado di adempiere al meglio ad alcuni compiti fondamentali (portare crescita all'economia, razionalizzare al meglio la spesa pubblica, abbassare le tasse, ecc.).

In altri casi ci si è trovati di fronte ad una presunta contesa sui valori, di cui la polemica sul berlusconismo è stata l'espressione più riconoscibile, e quindi si è ridotto il confronto politico al problema su quale coalizione avesse il tasso di moralità più elevato. Entrambi i temi dimostrano la debolezza della politica nel farsi promotrice di riforme profonde nella società, e tutto questo è dimostrato fra le altre cose da un'incapacità di mobilitare i cittadini se non in chiave prettamente identitaria (la manifestazione PD del 25 ottobre 2008 mi pare un esempio lampante, come lo era stata quella della PDL del 2 dicembre 2006). E chiaramente le giovani generazioni sono state le prime vittime di questa concezione della politica e dei partiti, perché si può dire che proprio negli anni di più intensa debolezza della politica una generazione è cresciuta, si è formata culturalmente e civilmente, e si è avvicinata al dibattito pubblico. Spesso allontanandosene, pensando alla politica come a qualcosa da scrutare col binocolo, in maniera distratta e solo nei periodi pre-elettorali, e relegandola ad aspetto marginale della propria vita.

Allora come fare per riallacciare un rapporto fra partiti e giovani generazioni? Non vi può essere una soluzione a questo rapporto che prescinda dalla questione della crisi della politica nel nostro paese. Anche perché non solo spesso i problemi che vivono i giovani italiani assomigliano a quelli degli adulti, ma soprattutto perché il dibattito politico in questo paese, anche per i canali attraverso cui passa, è fondamentalmente intergenerazionale.

I momenti più frequenti di discussione politica per un giovane sono davanti ad una televisione accanto ai propri genitori. Però forse ricostruire dei partiti credibili e radicati nella società servirebbe più a quella generazione che ai più anziani, per un motivo semplice: i giovani si stanno formando in questi anni, e l'idea che avranno anche in futuro della politica passa principalmente per quello che vivono oggi. Le generazioni precedenti hanno comunque ormai acquisito un'idea sulla politica che gli viene dalla loro esperienza passata, dalla storia di questo paese. E in questo senso continuano, seppur con sempre maggiore disincanto, a votare alle elezioni come dimostra comunque l'alto livello di partecipazione al voto che si registra in Italia.

Quindi, per i giovani soprattutto, serve un nuovo dibattito pubblico e dei partiti che si pongano il problema di una nuova rappresentanza rispetto a questi ultimi anni. Coniugare la presenza nella società (dai territori, ai luoghi di lavoro, alle scuole e le università per le giovani generazioni), le singole proposte sui problemi di questo paese (progetti di legge, azioni amministrative, ecc.), con la capacità di sapere indicare una direzione ideale e una prospettiva di lungo periodo. Perché in questi anni la capacità di saper esprimere proposte di programma sui singoli temi è stata anche buona da parte dei partiti, ed è stata frutto di una seria capacità di analisi dei problemi della società italiana. Per fare un esempio che coinvolge direttamente i giovani, le proposte sulla scuola del centrosinistra, a partire dall'autonomia per arrivare alla riforma dei cicli, erano il risultato di un dibattito importante sulla formazione delle giovani generazioni nella società moderna. Quello che è mancato forse è stata la capacità di saper coniugare tutto questo con una prospettiva credibile di più lungo periodo da offrire ai cittadini. Un elenco di priorità concrete ed ideali, che definisse un progetto per l'Italia. Non un elenco di valori da presentare come carta d'identità e quindi come certificato di sana moralità, ma una cornice ideologica per definire gli obbiettivi da raggiungere, anche in termini ideali.

Pensare che questo non fosse necessario è stato l'errore di questi anni, che ha portato la politica ad essere percepita come inutile in special modo dalle giovani generazioni. Un giovane, se non vede un cammino di fronte a sé che possa essere coronato da obbiettivi da raggiungere, e se non vede delle risposte sul senso di quello che ha intorno, perché dovrebbe percepire come importante la politica e parteciparvi?

Certo, poi tutto questo deve passare dall'astrattezza della discussione teorica alla prassi, che è capacità dei partiti e dei suoi movimenti giovanili di essere presenti nella società con le orecchie drizzate, di elaborare orizzonti che stiano nella storia di questo paese, di costruire partecipazione, iniziativa politica, e mobilitazione sulle proprie battaglie. Non è un passaggio scontato, e passa per il buon funzionamento delle strutture organizzate dei partiti e dei movimenti giovanili e per la capacità delle tante persone e dei tanti ragazzi già impegnati di essere all'altezza delle proprie responsabilità. Se questo accadrà in un prossimo futuro, ne uscirà rafforzata la politica e le giovani generazioni, che vedranno finalmente affrontati con credibilità i loro problemi. In definitiva, ne uscirebbe rafforzata la democrazia nel nostro paese. Nel suo piccolo, ogni iniziativa politica giovanile non può che far bene.

Eugenio Levi

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