domenica 20 febbraio 2011

Sanremo: il più giovane è nato nel 1943


In un paese in cui un’intera generazione di giovani adulti reclama il suo spazio, tenta addirittura la “rottamazione” della propria classe dirigente e chiede gridando di investire sull’entusiasmo e sulla determinazione della gioventù, si é incoronato un re di 67 anni durante il concorso nazionalpopolare per eccellenza, il Festival di Sanremo.

E' Roberto Vecchioni, grandissimo cantautore che da sempre è nella realtà e la racconta, ad aver scritto il testo più arrabbiato, più attuale, più giovane tra tutti. Questo per stessa ammissione della seconda classificata - insieme ai Modà - Emma Marrone, giovanissima interprete di una bella canzone che ha avuto un grande successo discografico.

Il punto, in realtà, non è l’ormai nota capacità del “professore” di interpretare testi e poesie che raccontano l’amore e che lo intrecciano nella società e nell’attualità, ma l’impressionante vuoto che da questo punto di vista hanno lasciato i veri giovani del Festival. Su un palco così importante ed ascoltato le nuove leve hanno sì presentato canzoni belle, interessanti, di successo, ma pur avendo l’occasione di dire qualcosa di diverso, personale, originale, hanno scelto di fare un passo indietro.

Si dice da sempre che Sanremo, comunque, racconti qualcosa della società italiana. In questo caso il ritratto che ne esce è forse purtroppo realistico. La nostra generazione è poco abituata alla critica, all’osservazione, a vivere in comunità, forse, spinta ad un eccessivo individualismo, ma soprattutto annebbiata da una visione delle cose troppo ristretta: ciò è a dir poco un paradosso per i giovani, figli di internet e della globalizzazione. Vivendo così poco l’altro e sentendoci così poco una comunità perdiamo inevitabilmente di credibilità. Quando un bisogno ci spinge fuori dal guscio finiamo per apparire disorientati e disorganizzati.

Ma è davvero possibile che davanti a dieci milioni di persone sia stato un cantautore del ‘43 ad apparire il più giovane?

Daniela Manca

mercoledì 16 febbraio 2011

Nello scontro Berlusconi - magistratura è il paese ad uscire sconfitto


Nelle azioni di tutti li uomini, e massime de' principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. (Niccolò Machiavelli, Il Principe)

Ci sono eventi, nella carriera di un giornalista, che per forza di cose non possono passare inosservati, vuoi per l’importanza oggettiva che rivestono nei riguardi dell’opinione pubblica, vuoi per il coinvolgimento emotivo di chi scrive.

Compito del giornalista - sembrano averlo dimenticato in molti - è quello di essere tramite tra la fonte della notizia ed il suo fruitore. Per una volta devo abbandonare questa massima professionale ed esprimere la mia opinione sui fatti nella maniera più esplicita e diretta possibile, comunicando in prima persona e rivolgendomi direttamente ai Lettori.

Nella nostra categoria c’è ancora qualche mosca bianca che riesce a riportare gli avvenimenti più importanti della storia così come sono, magari arricchendoli con piglio critico (che non fa mai male). Perdonatemi, ma questa volta proprio non ci riesco. La verità è che non avrei mai voluto scrivere questo editoriale, perché la certezza delle proprie convinzioni non è e non sarà mai assoluta.

Quindi, cari Lettori, sentitevi liberi di smentirmi o di manifestare il vostro dissenso. Verrò subito ai fatti, nella speranza di non tediarvi oltremodo.

Chi vi scrive ritiene - ed ha sempre ritenuto - Silvio Berlusconi un personaggio deleterio per lo Stato italiano. Tuttavia, a differenza di quanto molti possano pensare, l’attuale Presidente del Consiglio non incarna il male assoluto, la fonte di tutti i problemi del nostro paese. Ciò a prescindere da tutte le nefandezze che il Cavaliere possa aver perpetrato negli ultimi 30 anni di storia italiana.

In secondo luogo - concetto non meno importante - non penso assolutamente che l’Italia sia una dittatura, come molti sono soliti affermare. Berlusconi è stato eletto legittimamente dal popolo italiano. Possiamo discutere sulla legge elettorale, ma non siamo autorizzati a mettere alla berlina i fondamenti democratici del nostro paese. La ragione è abbastanza semplice da comprendere. Berlusconi non ci è stato imposto, anche se, a detta di molti, - provocatoriamente, aggiungo io - vi sarebbero tutta una serie di ragioni validissime per arrivare persino a delegittimare il suffragio universale.

In un contesto democratico avrebbe ancor meno significato attribuire le colpe della situazione attuale unicamente ai nostri politici. In democrazia è il cittadino-elettore ad essere protagonista. Se il “signor Rossi” negli ultimi 20 anni ha pensato soltanto a lamentarsi senza porre in essere nulla di concreto (vizio egoistico tipico dell’italiano medio), o, peggio ancora, si è completamente disinteressato della politica “perché tanto sono tutti uguali”, non può sentirsi poi legittimato a cavalcare l’onda del populismo, nell’attesa spasmodica di una manna dal cielo che non arriverà mai.

Non è che la società italiana derivi dalla classe politica, non avrebbe alcun senso. Quest’ultima è semplicemente rappresentazione, materializzazione della società stessa. Ogni popolo, in un modo o nell’altro, ha i governanti che si merita. I politici in carica nei sistemi democratici non sono entità ultraterrene, sono puramente ed unicamente cittadini che hanno incontrato la preferenza di un determinato numero di altri cittadini. Allo stesso modo, Silvio Berlusconi non è sceso improvvisamente dal Monte Tabor, ma ha costruito demagogicamente mattone dopo mattone - utilizzando metodi leciti e meno leciti, raccontando fandonie agli elettori, inventando capri espiatori, sfruttando le menti obnubilate di moltissimi italiani ipnotizzati dallo stile di vita imposto dai modelli della nostra società - le basi del suo consenso.

Berlusconi esiste perché molti italiani hanno stima del suo successo, vivono nel mito del self made man, ritengono che il fine giustifichi i mezzi. In pratica, vorrebbero essere Silvio Berlusconi.

Per poter fare qualcosa, bisogna domandarsi il perché, interrogarsi sulle ragioni politiche e sociali che hanno portato alla situazione attuale ed hanno consacrato il percorso del Cavaliere e la sua scalata fino alle più alte posizioni di potere nel governo della Repubblica italiana.

Di chi è figlio il berlusconismo? Dell’avvento delle televisioni commerciali, dei “nani” e delle “ballerine” di craxiana memoria, della società dell’apparire, del deficit di valori degli ultimi 30 anni. Tutti questi fattori, uniti alla mancanza di un’opposizione credibile, hanno fatto sì che nella cosiddetta Seconda Repubblica cambiasse veramente poco - per non dire nulla - rispetto alla Prima, spianando la strada all’affermazione di un personaggio carismatico come il Cavaliere.

Il “Ruby gate” ha del grottesco. E’ disdicevole che un personaggio che ricopre una carica di tale importanza, il premier di un paese di spicco sul piano internazionale quale è l’Italia, sia invischiato fino a tal punto in vicende che sarebbe riduttivo definire deplorevoli. Questo è fuori discussione.

Il problema, però, è più formale che sostanziale, è puramente d’immagine. Ritengo di non poter essere additato di disonestà intellettuale se affermo che sarebbe quantomeno controverso che la “caduta” di Berlusconi venisse determinata dalle vicende di Arcore e non dagli altri, più gravi reati, commessi nel corso della sua carriera imprenditoriale e politica. Invece, stando ai fatti degli ultimi giorni, è seriamente possibile che il caso Ruby rappresenti per Berlusconi il capolinea, il tallone d’Achille, un po’ quello che rappresentò l’evasione fiscale per Al Capone.

Quali sono i reati contestati a Berlusconi per i quali è stato disposto il giudizio immediato? Cerchiamo di analizzarli insieme.

- Prostituzione minorile: pur nella gravità dell’atto, la 17enne - all’epoca dei fatti - marocchina Ruby Rubacuori (al secolo Karima El Mahroug) ha dimostrato di essere più smaliziata di moltissime donne con il doppio dei suoi anni. Inoltre ha agito con piena consapevolezza, tutto sembra fuorché parte lesa nella vicenda. Qualcuno potrà giustamente controbattere: nel partito di Berlusconi è allora lecito attendersi che le donne che si concedono al presidente facciano carriera in politica. Vi risponderei che è una cosa vergognosa. Tuttavia, oltre alla prostituzione tradizionale, quella fisica, ne esiste un’altra forma - più impalpabile, ma non per questo meno esecrabile - praticata indistintamente da un grandissimo numero di individui di entrambi i sessi e di ogni colore politico: quella intellettuale. Stranamente non viene perseguita a termini di legge, anche se - agli occhi illibati di chi vi scrive - viene vista allo stesso modo come particolarmente fastidiosa.

- Concussione: la famosa telefonata in questura da parte del premier per il rilascio della 17enne marocchina. E’ un reato che, se accertato in sede giudiziale, sarebbe conseguenza diretta di quello trattato poc’anzi. Fosse la cosa più grave commessa da Berlusconi in tutti questi anni neanche staremmo qui a parlarne.

A questo punto, se qualcuno ha interpretato le mie parole come una giustificazione nei confronti dei comportamenti immorali del nostro presidente del Consiglio, mi scuso per aver turbato la sua serenità e mi adopero per fornire le dovute rassicurazioni. Lungi da me difendere a spada tratta il premier, ma che il declino di Berlusconi debba avvenire con simili modalità è - a mio avviso - una forzatura politica. Chi gioisce per il giudizio immediato, chi intravede nel 6 aprile la data di una possibile liberazione nazionale, non ha ben chiaro cosa accadrà all’indomani dell’eventuale caduta di Berlusconi. I suoi sostenitori ne faranno un martire, saranno ancor più convinti della bontà del suo operato. Verranno altri dopo di lui e si comporteranno esattamente allo stesso modo. L’opposizione rimarrà la stessa di oggi, non cambierà assolutamente nulla. A rimetterci, a perdere l’occasione di voltare pagina veramente, sarà soltanto il paese. Per tutti questi motivi Berlusconi va sconfitto politicamente.

La mia intenzione principale, tra l’altro, era quella di far riflettere i lettori su un’altra problematica tipica del nostro paese. E questa volta non è il premier ad essere al centro della mia analisi. E’ doveroso premettere che nella realtà, molto spesso, non esiste alcuna dialettica bene-male. Fatte le dovute premesse, nell’ambito dello scontro tra Berlusconi e la Procura di Milano sarebbe segno di dolosa cecità non ravvisare il comportamento disdicevole di una parte della magistratura, che andrò a sviscerare nelle prossime righe.

"La decisione del gip in merito alla richiesta avanzata dai procuratori aggiunti Ilda Boccassini e Pietro Forno e dal pm Antonio Sangermano è stata accolta con soddisfazione in Procura. «Ora andremo in udienza» si è limitato a dire, sorridendo, il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati." (Corriere della Sera 15/02/2011)

Tralasciando le questioni sulla competenza o meno della Procura di Milano nel processo, che dei giudici gongolino per l’accoglimento di una richiesta di giudizio immediato, in un paese civile, è inaccettabile. Una persona libera deve pretendere la stessa imparzialità e terzietà da qualsiasi giudice naturale precostituito per legge, chiunque sia l’imputato e qualsiasi crimine si presume abbia commesso. E’ un requisito essenziale dell’incarico ricoperto dalla magistratura, depositaria del potere giudiziario nel nostro paese.

La questione in Italia si è ridotta ad una guerra tra bande, tra corporazioni. La magistratura fa di tutto per processare Berlusconi, Berlusconi di conseguenza fa di tutto per non farsi processare. Nessuno rispetta le regole. Allo stesso tempo, però, la magistratura omette di recare giustizia a centinaia di migliaia di altri cittadini italiani perché sotto scacco delle lobby o del potentato economico/politico di turno. Quella alla quale assistiamo non è la lotta del bene contro il male, è semplicemente lo scontro tra due entità contrapposte all’interno di un sistema malato e corrotto.

A differenza di quello che molti vorrebbero far credere all’opinione pubblica, la magistratura è una categoria professionale esattamente come tutte le altre. E’ composta in larga parte da professionisti seri ed integerrimi, che svolgono il loro ufficio con virtù e diligenza, spesso anche a costo della propria vita, ma presenta al suo interno anche individui che fanno della loro professione un mezzo per arrivare ad un fine ulteriore, egoistico e personale. Anche la magistratura è fatta di persone, di uomini. E molto spesso gli uomini antepongono i propri interessi personali al loro dovere morale.

Per farvi un esempio che non riguardi la politica, vi basti sapere che la Corte d’Appello di Roma ha condannato per violenza privata, ribaltando la sentenza di primo grado, l’inviato di "Striscia la Notizia" Valerio Staffelli, reo solamente di aver ricevuto una “microfonata” in faccia dall’allora direttore di Rai1 Fabrizio del Noce.

In Italia la giustizia va a due velocità. E se ipoteticamente vorranno farvi credere che la legge è uguale per tutti, sappiate che non è (sempre) così..

Negare che il problema esista è da ipocriti. La riforma della giustizia - ovviamente non mi riferisco a quella auspicata dal PdL - è una questione di vitale importanza per la coesione sociale del paese. I governi che succederanno a quello attuale, di qualsiasi colore politico, dovranno affrontarla immediatamente, con la massima urgenza. Tutte le categorie professionali sono responsabili della situazione attuale del sistema Italia. Quella dei magistrati, però, a differenza delle altre, è l’unica a non pagare mai per i propri errori.

Forse - nutro ancora numerose riserve - il 6 aprile l’Italia si libererà finalmente di Berlusconi. Ma a che prezzo? Il Cavaliere - non mi stancherò di ripeterlo - va sconfitto politicamente. Anni di girotondi, manifestazioni di piazza, non hanno fatto altro che rafforzarlo. Hanno avuto esattamente l’esito opposto a quello sperato. Ed a tutti quelli che - in parte a ragione - affermano che il Cavaliere controlli capillarmente il mondo dell'informazione in Italia e non perdono occasione di sottolineare la faziosità de “Il Giornale” o di “Libero”, vorrei ricordare che il quotidiano “La Repubblica”, che considerano punto di riferimento, faro nella notte, è soltanto l’altra faccia della medaglia. Se il gruppo editoriale “L’Espresso” - di proprietà di Carlo De Benedetti, alter ego-nemesi del premier - porta avanti crociate anti-Berlusconi non lo fa di certo per tutelare i vostri interessi. E vorrei ricordare anche i governi di centrosinistra degli ultimi 15 anni, altrettanto disastrosi. D’Alema. quando ne aveva la possibilità, non ha fatto nulla per indebolire l’avversario politico. In compenso, negli anni della guerra del Kosovo - con centinaia di soldati italiani che ancora continuano a patire gli effetti nefasti dell’uranio impoverito nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica - ha sfornato leggi a danno dei cittadini, una su tutte il decreto salva banche. Per non parlare dei governi Prodi, dello scandalo Telekom Serbia, dell’indulto, delle liti interne, dell’ingovernabilità.

Il 6 aprile magari verrà anche sconfitto Berlusconi, ma non il berlusconismo. Quello vivrà ancora, per chissà quanti anni, nelle menti dei suoi elettori, nei suoi sodali, nell’incapacità delle opposizioni di trovare proposte concrete per il bene del paese. Se pensate che eliminato Berlusconi, che considerate il dittatore, l’incarnazione di tutti i mali della società, il paese giungerà improvvisamente ad una nuova età dell’oro siete soltanto dei poveri illusi. Se il 6 aprile l’eterna lotta tra Berlusconi e la magistratura si risolverà in favore della seconda, ne pagheremo a caro prezzo le conseguenze.

Comunque vada, alla nostra generazione spetta l’ingrato compito di sconfiggere il berlusconismo. Dobbiamo portare avanti ogni giorno questa battaglia, nelle nostre strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Berlusconi è umano. Giudici o non giudici, prima o poi sparirà. La mentalità inculcata nelle menti di troppi italiani non sparirà mai se non saremo noi stessi a volerlo.

Alessio Lannutti


P.S. Nella dialettica attuale nessuno rispetta le regole del gioco. Il fine giustifica i mezzi, diceva qualcuno. Questo aforisma è erroneamente attribuito a Machiavelli, ma poco importa. Rappresenta perfettamente il quadro conflittuale dell’Italia dei nostri giorni.


Fonti: http://www.corriere.it/politica/11_febbraio_15/berlusconi-processo-sei-aprile_bfca3430-38ec-11e0-8e8c-58f8c06c30d0.shtml