venerdì 3 luglio 2009

Grandi affari: supermarket in Iraq


Nelle vicende internazionali è sempre complesso distinguere tra cause e conseguenze. Il principio cronologico non si rivela utile nella ricerca, se non da un punto di vista causale strettamente materiale. Assegnare ai grandi affari in corso in Iraq lo status di conseguenza di una qualche vicenda internazionale sembrerebbe estremamente difficile, se non addirittura impossibile. Eppure, gli accadimenti degli ultimi tempi portano a smentire quanto affermato finora.

Premesso che quando si fanno affari, grandi affari, c'è sempre una parte che guadagna ed un'altra che perde, «in Iraq c'è da ricostruire tutto, assolutamente tutto». Così si esprimeva Nicolas Sarkozy al termine della sua visita lampo compiuta a Baghdad lo scorso 10 febbraio.

Nelle parole di Sarkozy era chiaro e lapidario l'implicito invito alle aziende francesi a mettersi in corsa per partecipare al grande business della ricostruzione irachena.

Bene, la grande corsa è partita. Il 2 luglio 2009, dopo settimane preparazione (per non lasciare nulla al caso), è giunta a Baghdad una selezionata delegazione di imprenditori francesi guidata dal Primo Ministro François Fillon e dal ministro dell'Economia Christine Lagarde. Altra missione lampo, per esigenze di sicurezza, rimasta segreta fino all'ultimo. L'aereo con Fillon e la delegazione è partito a mezzanotte da Parigi, all'alba di ieri ha fatto scalo ad Amman, quindi il viaggio è proseguito verso Baghdad a bordo di un Hercules C-130 dell'aeronautica francese.

Con il Primo Ministro e Christine Lagarde hanno viaggiato undici «big» dell'economia transalpina, come Laurence Parisot (la «patronne» di Medef, la Confindustria francese), Christophe de Margerie (Total), Louis Gallois (Eads, cioè industria aerospaziale ed Airbus), Henri Lachmann (Scheider, energia), Bruno Lafont (Lafarge, costruzioni), Henri Proglio (Veolia, servizi ambientali e gestione delle acque), Michèle Lamarche (in rappresentanza della banca d'affari Fratelli Lazard). Fillon ha incontrato a Baghdad il premier Nuri al-Maliki, poi è volato a Sulaimaniya per un colloquio con il presidente del Kurdistan iracheno Jalal Talabani [Mas’ud Barzani NdR].

Tra gli accordi firmati ieri, uno riguarda il settore del credito ed un altro la formazione di ingegneri.

Ma la cooperazione franco-irachena è promettente in molti settori, compreso - ovviamente - quello militare. Il maggio scorso una delegazione era arrivata a Baghdad da Parigi per concludere accordi con gli iracheni. L'Iraq ha acquistato 24 aerei da trasporto, ma sono sul tavolo delle trattative anche acquisti di elicotteri e di altri armamenti. In quella occasione i membri della missione francese si erano lamentati della presenza di militari americani durante tutti i colloqui ufficiali. Ora invece la visita della delegazione francese in Iraq avviene, con singolare tempismo, a sole 48 ore di distanza dal ritiro dell'esercito americano dalle principali città irachene. Finora la ritirata dell'esercito Usa dai centri urbani non sembra aver scatenato la temuta ondata di violenza. C'è invece grande fermento nel settore economico.

Il 1° luglio il governo iracheno ha indetto una grande asta pubblica per assegnare lo sfruttamento di otto giacimenti di petrolio e gas. Una gara d’appalto petrolifera in diretta televisiva per garantire la «trasparenza». In una camera d'albergo della superprotetta Green Zone di Baghdad si sono presentate alla gara 31 compagnie straniere (fra cui l'italiana ENI), ma alla fine è stato assegnato un solo appalto per gestire i pozzi petroliferi di Rumaila, nel sud dell'Iraq, che avrebbero una riserva stimata in oltre 17 miliardi di barili. L'appalto se lo è aggiudicato un consorzio formato dalla britannica BP insieme ai cinesi della CNPC International. BP e CNPC sono le uniche compagnie petrolifere straniere che andranno a lavorare in Iraq, almeno per il momento. Gli altri appalti non sono stati assegnati ufficialmente perché gli iracheni non hanno soddisfatto le richieste delle multinazionali, che si sono dichiarate deluse dai termini dell'operazione, ma il clima nel substrato sociale è piuttosto quello delineato dai lavoratori iracheni che il 25 giugno 2009 ribadiscono: «le compagnie petrolifere internazionali non firmino i contratti relativi ai giacimenti offerti nel primo round di gare d’appalto, perché questi contratti sono illegali».

L’avvertimento, a pochi giorni dalla conclusione delle gare, arriva dal sindacato iracheno dei lavoratori del petrolio, che definisce questo primo round “una vera catastrofe”, dato che riguarda i giacimenti “enormi e strategici” che sono il cuore dell’economia irachena.

Si è perciò parlato di un fallimento, ma ieri, durante la conferenza stampa con Fillon, il premier iracheno al-Maliki ha respinto le accuse e ha affermato diplomaticamente: «Non si è trattato di un fallimento, bensì è stato un round dove alcuni hanno avuto successo e altri no». «L'Iraq guarda i suoi interessi da un'angolatura particolare», ha aggiunto, «diversa dall'angolatura da cui le compagnie straniere guardano i loro interessi».

Presto si terrà un nuovo round delle gare di appalto. Ne resta fuori il destino del giacimento di Nassiriya, per il quale sono in corsa l'ENI, i giapponesi di Nippon Oil, e gli spagnoli della Repsol. La decisione del governo iracheno sul giacimento di Nassiriya potrebbe essere vicina: il ministro iracheno del Petrolio, Hussein al Shahristani, ha detto alla Reuters che la compagnia alla quale andrà il contratto è stata scelta, ora il nullaosta finale spetta al Consiglio dei ministri. Quale sia questa compagnia Shahristani non ha voluto dirlo.

Gennaro Rizzo

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