domenica 27 marzo 2011

Signor Burns, le faremo sapere


I tragici eventi che hanno colpito il Giappone negli ultimi tempi rappresentano un importante spunto di riflessione per l’opinione pubblica in merito alle modalità di approvvigionamento energetico. La lotta - che con il passare dei giorni, purtroppo, sembra apparire sempre più infruttuosa - dei tecnici nucleari giapponesi ed internazionali per evitare una nuova Chernobyl nell’impianto di Fukushima ha risvegliato le coscienze ormai sopite dei cittadini italiani in tema di energia nucleare. Come è naturale e fisiologico a seguito di disastri di grande portata, per di più quando determinati da eventi umanamente incontrollabili come le catastrofi naturali, gli atteggiamenti critici e la disillusione prendono il sopravvento: il fronte degli antinuclearisti, dei contrari e degli scettici vede allargare di giorno in giorno le proprie file.

Nonostante tutto, vi è ancora chi ritiene che quello di Fukushima sia un formidabile spot a favore del nucleare: una centrale, per di più costruita all’inizio degli anni ’70, avrebbe resistito alla forza di madre natura e soltanto l’incredibile impeto dell’onda anomala generata dalla scossa sismica sarebbe riuscito a scalfirne la struttura.

Il problema, però, sembrerebbe essere a monte. Sebbene un terremoto di magnitudo 8.9 della scala Richter ed il conseguente tsunami possano mettere in discussione qualsiasi opera dell’uomo, appare abbastanza assurdo gioire per quella che è manifestamente una tragedia destinata a rimettere in discussione le convinzioni dei sostenitori più accaniti dell’energia atomica.

Qualsiasi struttura creata dall’uomo, se colpita da eventi imprevedibili, è destinata a collassare. Anche una pala eolica, in seguito ad un terremoto, può cadere giù e provocare dei danni. Tuttavia, non stiamo discutendo su questo, il problema concerne l’entità dei danni causati all’ambiente circostante. La radioattività conseguente all’incidente di Chernobyl, a distanza di 25 anni, continua a rendere inabitabili ed inadatte a qualsiasi attività umana vaste aree circostanti al luogo del disastro. Con la centrale di Fukushima accadrà la stessa cosa.

Sebbene storicamente in Italia le discussioni in tema di energia atomica prendano le mosse da valutazioni politiche della questione, diviene assolutamente imprescindibile la necessità di porsi alcune domande.

E’ davvero quello attuale il momento più idoneo per intraprendere un dibattito sul nucleare nel nostro paese, soprattutto alla luce dell’impressionabilità della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica? L’analisi del fenomeno deve basarsi sull’osservazione di dati certi ed inconfutabili che possano dare un’ampia visione delle problematiche legate alle centrali nucleari, nel nostro paese e nel mondo.

Nello specifico, bisogna prendere le mosse dalla considerazione di due diversi fattori: quello della convenienza economica e quello rivestito dalle effettive garanzie in termini di sicurezza proprie di questa fonte di energia.

Come molti sanno, una volta avviato, un reattore nucleare produce energia ininterrottamente per un lungo periodo di tempo, a prescindere dall’effettivo fabbisogno energetico della porzione di territorio che la centrale è chiamata a coprire. Il fatto stesso che le centrali operino o meno a pieno regime è del tutto ininfluente, nelle ore di minore richiesta parte dell’energia viene necessariamente sprecata.

La Francia ha 59 reattori nucleari distribuiti su 19 centrali, poco più della metà dei reattori presenti su un territorio incredibilmente più vasto, quello degli Stati Uniti. L’energia prodotta dalle centrali francesi nelle ore notturne, che andrebbe sprecata, viene venduta - ed a caro prezzo - allo Stato italiano. Il nostro paese dipende energeticamente dalle altre realtà europee. Con il nucleare questo assetto di interessi cambierebbe? In Italia non abbiamo uranio, dovremmo necessariamente acquistarlo da altri paesi. Nel settore energetico, quindi, rimarremmo comunque dipendenti economicamente dalle disponibilità altrui.

Per quanto riguarda la sicurezza, non c’è molto da dire. Chi afferma che l’energia nucleare è assolutamente sicura e pulita, mente sapendo di mentire. Un reattore nucleare è sicuro finché, dentro e fuori, tutto funziona come dovrebbe. In parole povere, fino a quando non entra in gioco la legge di Murphy. Sebbene i reattori di ultima generazione siano più sicuri dei precedenti (addirittura sicurissimi rispetto a quelli di progettazione sovietica coinvolti in inconvenienti durante la guerra fredda, ma anche di quelli americani, vedi incidente di Three Mile Island), malfunzionamenti, eventi esterni, catastrofi naturali sono sempre possibili. E se qualcuno obietterà che allora non bisognerebbe prendere l’aereo - statisticamente il mezzo di trasporto più sicuro esistente al giorno d’oggi - perché pur nella più assoluta improbabilità matematica di incidenti una minima possibilità che l’aeroplano cada c’è sempre, risponderei che le conseguenze di un incidente nucleare per la vita umana, animale, vegetale sarebbero un prezzo troppo alto da pagare. Poco importa il fatto che sconteremmo comunque in prima persona lo scotto di un eventuale incidente ad un reattore francese o tedesco, non è un motivo valido per diventare improvvisamente sostenitori del nucleare in Italia.

Non dimentichiamo poi le scorie prodotte dalle centrali. Che fine farebbero? Come vengono smaltite oggi? Che effetti hanno sugli ecosistemi del nostro pianeta? Quello delle scorie nucleari è un problema al quale in passato non si è pensato. Ed al quale, non senza dolo o colpa, si continua a non pensare.

Le soluzioni al problema energetico vanno contestualizzate. In Italia abbiamo sole, mare e vento in abbondanza. Cominciamo a puntare davvero sulle energie rinnovabili, sulle fonti pulite e sostenibili. Ma non a parole o con facili proclami, bisogna farlo veramente. Imporre ai costruttori di implementare impianti fotovoltaici negli edifici di nuova costruzione, dotare anche le costruzioni più vecchie di pannelli solari, ricorrere all’eolico, sfruttare onde, correnti, maree, evitare perdite nella rete elettrica, sensibilizzare sul risparmio energetico laddove possibile. In pratica, ottimizzare la politica energetica nel pieno rispetto dell’ambiente. Lo hanno fatto in Germania, di certo non abbiamo meno sole di quanto ne abbiano i tedeschi.

Gli italiani sono già stati chiamati ad esprimersi sull’energia nucleare nel 1987. A torto o a ragione, una decisione, in senso negativo, è stata presa. Ora, l’attuale governo italiano, dichiaratamente favorevole all’energia atomica, è intenzionato ad introdurre in un futuro non molto prossimo delle centrali nucleari sul nostro territorio. In seguito alle vicende giapponesi, per evitare che i sostenitori delle energie rinnovabili e gli antinuclearisti cavalcassero l’onda delle polemiche, ha deliberato una moratoria di un anno sullo sviluppo del nucleare. Ha deciso di prendere tempo. Tuttavia, ciò non fermerà il referendum del 12 e 13 giugno.

Nel cartone animato dei Simpson il signor Burns è il crudele proprietario della centrale nucleare di Springfield, che tiene sotto scacco della propaganda nuclearista l’intera cittadina. Al signor Burns - che nel nostro caso è rappresentato dalla lobby del nucleare - si può dire no.

Mettendo da parte inutili allarmismi, spesso fomentati dalla strenua ricerca del sensazionalismo da parte di alcuni operatori dell’informazione (es. “la Germania ha deciso di bloccare i suoi reattori nucleari”: sì, soltanto quelli più obsoleti, simili a quelli di Fukushima ed in via del tutto precauzionale; “la nube radioattiva giungerà in Italia, corsa all’acquisto dei contatori Geiger”: un modo come un altro per alimentare le psicosi; “la città di Roma è più radioattiva di Tokyo”: come se la radioattività naturale dovesse destare preoccupazione), è necessario aprire un dialogo serio tra cittadini ed istituzioni, valutare i pro ed i contro, prendere una decisione definitiva ed inappellabile.

Sul tema l’omertà di molti governi, di ogni area geografica e collocazione politica, ha dato adito a timori e riflessioni. E se è vero che in Italia le polemiche, allo stato attuale, non avrebbero ragion d’essere, non essendoci ancora centrali nucleari nel nostro paese (la prima, ammesso e non concesso che i prossimi governi non dovessero cambiare idea, vedrebbe la luce non prima del 2020), è altrettanto vero che un’informazione imparziale, seria, disinteressata dell’opinione pubblica è assolutamente prodromica ad una qualsiasi discussione in materia. Per farsi un’opinione è necessario porsi davanti a quella che è la realtà e non dinanzi a sterili propagande politiche.

Anni fa, al confine tra l’Italia e la Francia, proprio di fronte alla vecchia frontiera di Ponte San Ludovico, campeggiava un cartello in lingua francese, che recitava più o meno così: “Il 26 aprile 1986 la nube radioattiva di Chernobyl si fermò in questo punto”. Nessuno sa chi l’avesse messo. All’epoca della presidenza del popolarissimo Mitterand, si era ritenuto di dover minimizzare le conseguenze del fallout di Chernobyl sul territorio francese, di non mettere in guardia i cittadini dal consumo di frutta, verdura, latte, carne contaminati. Quella frase era un monito alla Francia, paese di nuclearisti convinti, ed al governo dell’epoca, disposto a mettere a repentaglio la salute dei propri cittadini per portare avanti una politica energetica ed i propri interessi economici. Da qualche tempo di quel vecchio cartello non c’è più traccia.

Alessio Lannutti

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