venerdì 11 marzo 2011

Facebook, social network ed affini: piccole esperienze di un utilizzatore disilluso


Continua la linea editoriale informale, colloquiale, leggera, di Antitesi. Perché l’informazione può anche essere uno svago, una distrazione dai drammi dei nostri tempi e dai problemi della vita di tutti i giorni. Posso rassicurare dall’alto della mia mediocre esperienza in materia che non sta scritto da nessuna parte il contrario. Anzi, spesso è proprio dietro ai piccoli problemi quotidiani che si celano questioni sulle quali nessuno si sofferma mai debitamente. Tutti i temi trattati, anche i più frivoli, possono avere risvolti interessanti e far riflettere le nostre menti, altrimenti annebbiate da questioni sulla carta più rilevanti.

Tutti conoscono Facebook, è un dato di fatto. Ormai anche le persone più avanti con gli anni hanno sentito parlare della piattaforma ideata da Mark Zuckerberg, l’hanno sperimentata almeno una volta, ci si sono confrontate o addirittura l’utilizzano assiduamente. Gli unici che hanno rinunciato del tutto a cimentarsi nel mondo dei social network sono gli individui che presentano - premetto che quella che seguirà non è affatto un’offesa nei loro confronti - una particolare chiusura mentale nei riguardi del mondo della tecnologia. L’unica loro colpa è quella di non aver subito il fascino della modernità ed in questo non c’è assolutamente nulla di male. Per capirci, rientrano in questa categoria tutti quelli che hanno sempre avuto problemi a programmare il proprio videoregistratore, che hanno sempre fatto ricorso alla “maggiore esperienza” di un figlio adolescente per farsi battere al computer un documento, che hanno digerito a malincuore l’inserimento di nuove diavolerie (sms, mms, wap, gprs) nel proprio telefono cellulare. Quelli, in parole povere, che hanno lottato con l’hi-tech, ma si sono subito arresi. Si sono presentati ad affrontare un avversario troppo grande, addirittura enorme, fuori della loro portata, ben armato, scaltro, smaliziato, del tutto impreparati, uscendone immancabilmente sconfitti. Per queste persone la sola idea di poter intrattenere relazioni sociali attraverso uno schermo ed un’accozzaglia di cavi elettrici e microchip è talmente assurda ed avvilente da risultare persino blasfema.

Se tra le persone più anziane un quadro di questo tipo è perfettamente credibile e rappresentativo della realtà fattuale, risulta difficile credere che una generazione di nativi digitali come quella dei giovani d’oggi (dagli adolescenti fino agli adulti che hanno raggiunto la fatidica soglia degli “anta”) possa sottrarsi dal partecipare a quello che è ritenuto un must, uno strumento immancabile per relazionarsi con gli altri, coltivare le proprie amicizie, organizzare la propria vita sociale. In un futuro non molto prossimo una riflessione come quella sviscerata fino ad ora potrà addirittura apparire assurda ed anacronistica. Già i bambini nati nell’ultimo decennio ragionano, agiscono, si relazionano, in una maniera completamente diversa da quelli venuti al mondo in precedenza: sono figli della tecnologia e crescono insieme ad essa. Si rapportano con le novità ad un livello di equiordinazione.

Pensiamo invece alla generazione dei nati negli anni ’80, ritenuta - a torto o a ragione - da quelle precedenti, da quei famosi sessantottini che si vantano di aver affrontato rivoluzioni sociali e culturali (ci piacerebbe a questo punto sapere in concreto cosa abbiano realizzato loro di tangibile, ma è tutta un’altra storia), come un mero prodotto del benessere, una congrega di individui del tutto privi di ideali, di valori e di qualsiasi interesse. Questa generazione, in realtà, è formata da persone che si sono dovute adattare negli anni della propria crescita e del proprio sviluppo all’incredibile progresso economico e tecnologico della loro società. La tecnologia (si pensi ad esempio all’avvento e diffusione della televisione commerciale), ha cambiato i valori diffusi tra la popolazione, l’educazione, il modo stesso di vivere. Non ha però contribuito a plasmare l’identità dei giovani adulti di oggi. C’è una celebre canzone dei Supetramp, pubblicata verso la fine degli anni ’70, che è incredibilmente attuale. Nel ritornello, recita così: “Volete, per favore, dirmi cosa abbiamo imparato? So che può sembrare assurdo, ma per favore ditemi chi sono”. Queste parole rappresentano splendidamente la generazione dei nati negli anni ’80, che ha avuto il merito di stare al passo coi tempi, di riuscire ad andare avanti nonostante il mondo non fosse più lo stesso. Sebbene sia riuscita a trovare una propria dimensione senza piangersi troppo addosso, ha tuttavia mantenuto una certa melanconia nell’affrontare i cambiamenti, nel guardarsi indietro, nel rapportarsi con il proprio vissuto. E’ la generazione di chi scrive. Pur non avendo la pretesa di arrogarmi il diritto di parlare in nome della generalità di miei coetanei, nati in questo tribolato decennio, ritengo che le persone che abbiano maggior titolo per analizzare il fenomeno Facebook/social network appartengano proprio alla mia generazione.

Le riflessioni in esame (e quelle che seguiranno) scaturiscono da una conversazione intercorsa - ovviamente sempre in via telematica - tra il sottoscritto ed un amico, mio coetaneo. Il dibattito è stato prodromico alla formulazione di alcuni interrogativi esistenziali di non poco valore: fino a che punto Facebook ha condizionato le nostre esistenze? Perché oggi una grandissima parte dei giovani adulti del nostro paese utilizza i social network quotidianamente, spesso anche più volte nell’arco di una sola giornata? Perché dare tutta questa importanza ad una piattaforma virtuale?

La risposta a queste domande non è facile, per quanto possa sembrare scontata. I social network vengono impiegati per ingannare il tempo, svagarsi qualche minuto dallo studio o dal lavoro, trovare qualcuno - sia pure il conoscente incontrato due volte per caso dal fruttivendolo all’angolo - disposto a fare quattro chiacchiere, anche se magari in realtà non ci importa nulla di sapere come gli vada la vita e quali programmi abbia per la serata. Se non lo sentiamo né vediamo mai, difatti, ci sarà poi un motivo, no?

Altro problema fondamentale: nei social network tutti (o quasi) possono farsi gli affari degli altri, è la regola aurea. Sebbene questo principio subisca un temperamento attraverso la predisposizione di tutta una serie di strumenti a garanzia della propria privacy, la stessa presenza di queste impostazioni “anti-impiccione” rappresenta una contraddizione mica da ridere, visto che se tutti se ne avvalessero, verrebbe meno lo scopo stesso per il quale i social network sono stati concepiti. Posso fare un esempio: ho 100 amici su Facebook e decido di far vedere le foto della mia ultima vacanza soltanto ai 10 più stretti, che frequento spesso anche nella vita vera. Ecco che il fine ultimo della creatura di Mark Zuckerberg va letteralmente a farsi benedire. E se qualcuno vorrà ribattermi che non sono io a stabilire a cosa servano i social network e quali finalità debbano perseguire, potrò però asserire, non senza una certa protervia, la ragione per la quale sicuramente non sono stati realizzati: farsi i fatti propri.

Insomma, il mondo virtuale dei social network presenta immancabili implicazioni etiche. Per un utilizzatore avveduto, ad un certo punto, arriva il momento di riconsiderare le proprie convinzioni, di uscirne fuori, di staccarsene. E chi ha 25, 30, 35 anni, non si metta in testa di voler colmare il gap tecnologico con gli adolescenti di oggi, perché non è affatto di natura tecnica, ma ontologica. Ne uscirebbe irrimediabilmente svuotato.

Mai avrei pensato che un semplice sito internet potesse arrivare a cambiare la vita di milioni di persone, catalizzandone l’attenzione ancor più della televisione e dei suoi insulsi - ma (sembrerebbe) coinvolgenti - reality show. Ma di Facebook, ne sono convinto, si può fare a meno. Chi la pensa diversamente è, a mio modesto avviso, in errore.

I primi passi per disintossicarsi dal fenomeno dei social network, è prenderli realmente per quello che sono. Facebook è uno strumento che può essere utile se adoperato con raziocinio e moderazione, ma Facebook non è la vita. La vita, quella vera, riprendetevela. Andate a fare una passeggiata con i vostri amici, praticate uno sport, tornate al contatto umano vero e proprio. Non restate chiusi in casa davanti allo schermo del vostro PC, perché un giorno - forse non oggi, forse non domani, ma prima o poi - potreste accorgervi in un batter d’occhio di aver rinunciato alla vostra vita per un semplice, sterile, surrogato. Di aver abdicato in favore di qualche riga di codice HTML. In parole povere, a prescindere da quanti amici virtuali abbiate, di essere più soli di quanto possiate pensare.

Alessio Lannutti

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