mercoledì 16 febbraio 2011

Nello scontro Berlusconi - magistratura è il paese ad uscire sconfitto


Nelle azioni di tutti li uomini, e massime de' principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. (Niccolò Machiavelli, Il Principe)

Ci sono eventi, nella carriera di un giornalista, che per forza di cose non possono passare inosservati, vuoi per l’importanza oggettiva che rivestono nei riguardi dell’opinione pubblica, vuoi per il coinvolgimento emotivo di chi scrive.

Compito del giornalista - sembrano averlo dimenticato in molti - è quello di essere tramite tra la fonte della notizia ed il suo fruitore. Per una volta devo abbandonare questa massima professionale ed esprimere la mia opinione sui fatti nella maniera più esplicita e diretta possibile, comunicando in prima persona e rivolgendomi direttamente ai Lettori.

Nella nostra categoria c’è ancora qualche mosca bianca che riesce a riportare gli avvenimenti più importanti della storia così come sono, magari arricchendoli con piglio critico (che non fa mai male). Perdonatemi, ma questa volta proprio non ci riesco. La verità è che non avrei mai voluto scrivere questo editoriale, perché la certezza delle proprie convinzioni non è e non sarà mai assoluta.

Quindi, cari Lettori, sentitevi liberi di smentirmi o di manifestare il vostro dissenso. Verrò subito ai fatti, nella speranza di non tediarvi oltremodo.

Chi vi scrive ritiene - ed ha sempre ritenuto - Silvio Berlusconi un personaggio deleterio per lo Stato italiano. Tuttavia, a differenza di quanto molti possano pensare, l’attuale Presidente del Consiglio non incarna il male assoluto, la fonte di tutti i problemi del nostro paese. Ciò a prescindere da tutte le nefandezze che il Cavaliere possa aver perpetrato negli ultimi 30 anni di storia italiana.

In secondo luogo - concetto non meno importante - non penso assolutamente che l’Italia sia una dittatura, come molti sono soliti affermare. Berlusconi è stato eletto legittimamente dal popolo italiano. Possiamo discutere sulla legge elettorale, ma non siamo autorizzati a mettere alla berlina i fondamenti democratici del nostro paese. La ragione è abbastanza semplice da comprendere. Berlusconi non ci è stato imposto, anche se, a detta di molti, - provocatoriamente, aggiungo io - vi sarebbero tutta una serie di ragioni validissime per arrivare persino a delegittimare il suffragio universale.

In un contesto democratico avrebbe ancor meno significato attribuire le colpe della situazione attuale unicamente ai nostri politici. In democrazia è il cittadino-elettore ad essere protagonista. Se il “signor Rossi” negli ultimi 20 anni ha pensato soltanto a lamentarsi senza porre in essere nulla di concreto (vizio egoistico tipico dell’italiano medio), o, peggio ancora, si è completamente disinteressato della politica “perché tanto sono tutti uguali”, non può sentirsi poi legittimato a cavalcare l’onda del populismo, nell’attesa spasmodica di una manna dal cielo che non arriverà mai.

Non è che la società italiana derivi dalla classe politica, non avrebbe alcun senso. Quest’ultima è semplicemente rappresentazione, materializzazione della società stessa. Ogni popolo, in un modo o nell’altro, ha i governanti che si merita. I politici in carica nei sistemi democratici non sono entità ultraterrene, sono puramente ed unicamente cittadini che hanno incontrato la preferenza di un determinato numero di altri cittadini. Allo stesso modo, Silvio Berlusconi non è sceso improvvisamente dal Monte Tabor, ma ha costruito demagogicamente mattone dopo mattone - utilizzando metodi leciti e meno leciti, raccontando fandonie agli elettori, inventando capri espiatori, sfruttando le menti obnubilate di moltissimi italiani ipnotizzati dallo stile di vita imposto dai modelli della nostra società - le basi del suo consenso.

Berlusconi esiste perché molti italiani hanno stima del suo successo, vivono nel mito del self made man, ritengono che il fine giustifichi i mezzi. In pratica, vorrebbero essere Silvio Berlusconi.

Per poter fare qualcosa, bisogna domandarsi il perché, interrogarsi sulle ragioni politiche e sociali che hanno portato alla situazione attuale ed hanno consacrato il percorso del Cavaliere e la sua scalata fino alle più alte posizioni di potere nel governo della Repubblica italiana.

Di chi è figlio il berlusconismo? Dell’avvento delle televisioni commerciali, dei “nani” e delle “ballerine” di craxiana memoria, della società dell’apparire, del deficit di valori degli ultimi 30 anni. Tutti questi fattori, uniti alla mancanza di un’opposizione credibile, hanno fatto sì che nella cosiddetta Seconda Repubblica cambiasse veramente poco - per non dire nulla - rispetto alla Prima, spianando la strada all’affermazione di un personaggio carismatico come il Cavaliere.

Il “Ruby gate” ha del grottesco. E’ disdicevole che un personaggio che ricopre una carica di tale importanza, il premier di un paese di spicco sul piano internazionale quale è l’Italia, sia invischiato fino a tal punto in vicende che sarebbe riduttivo definire deplorevoli. Questo è fuori discussione.

Il problema, però, è più formale che sostanziale, è puramente d’immagine. Ritengo di non poter essere additato di disonestà intellettuale se affermo che sarebbe quantomeno controverso che la “caduta” di Berlusconi venisse determinata dalle vicende di Arcore e non dagli altri, più gravi reati, commessi nel corso della sua carriera imprenditoriale e politica. Invece, stando ai fatti degli ultimi giorni, è seriamente possibile che il caso Ruby rappresenti per Berlusconi il capolinea, il tallone d’Achille, un po’ quello che rappresentò l’evasione fiscale per Al Capone.

Quali sono i reati contestati a Berlusconi per i quali è stato disposto il giudizio immediato? Cerchiamo di analizzarli insieme.

- Prostituzione minorile: pur nella gravità dell’atto, la 17enne - all’epoca dei fatti - marocchina Ruby Rubacuori (al secolo Karima El Mahroug) ha dimostrato di essere più smaliziata di moltissime donne con il doppio dei suoi anni. Inoltre ha agito con piena consapevolezza, tutto sembra fuorché parte lesa nella vicenda. Qualcuno potrà giustamente controbattere: nel partito di Berlusconi è allora lecito attendersi che le donne che si concedono al presidente facciano carriera in politica. Vi risponderei che è una cosa vergognosa. Tuttavia, oltre alla prostituzione tradizionale, quella fisica, ne esiste un’altra forma - più impalpabile, ma non per questo meno esecrabile - praticata indistintamente da un grandissimo numero di individui di entrambi i sessi e di ogni colore politico: quella intellettuale. Stranamente non viene perseguita a termini di legge, anche se - agli occhi illibati di chi vi scrive - viene vista allo stesso modo come particolarmente fastidiosa.

- Concussione: la famosa telefonata in questura da parte del premier per il rilascio della 17enne marocchina. E’ un reato che, se accertato in sede giudiziale, sarebbe conseguenza diretta di quello trattato poc’anzi. Fosse la cosa più grave commessa da Berlusconi in tutti questi anni neanche staremmo qui a parlarne.

A questo punto, se qualcuno ha interpretato le mie parole come una giustificazione nei confronti dei comportamenti immorali del nostro presidente del Consiglio, mi scuso per aver turbato la sua serenità e mi adopero per fornire le dovute rassicurazioni. Lungi da me difendere a spada tratta il premier, ma che il declino di Berlusconi debba avvenire con simili modalità è - a mio avviso - una forzatura politica. Chi gioisce per il giudizio immediato, chi intravede nel 6 aprile la data di una possibile liberazione nazionale, non ha ben chiaro cosa accadrà all’indomani dell’eventuale caduta di Berlusconi. I suoi sostenitori ne faranno un martire, saranno ancor più convinti della bontà del suo operato. Verranno altri dopo di lui e si comporteranno esattamente allo stesso modo. L’opposizione rimarrà la stessa di oggi, non cambierà assolutamente nulla. A rimetterci, a perdere l’occasione di voltare pagina veramente, sarà soltanto il paese. Per tutti questi motivi Berlusconi va sconfitto politicamente.

La mia intenzione principale, tra l’altro, era quella di far riflettere i lettori su un’altra problematica tipica del nostro paese. E questa volta non è il premier ad essere al centro della mia analisi. E’ doveroso premettere che nella realtà, molto spesso, non esiste alcuna dialettica bene-male. Fatte le dovute premesse, nell’ambito dello scontro tra Berlusconi e la Procura di Milano sarebbe segno di dolosa cecità non ravvisare il comportamento disdicevole di una parte della magistratura, che andrò a sviscerare nelle prossime righe.

"La decisione del gip in merito alla richiesta avanzata dai procuratori aggiunti Ilda Boccassini e Pietro Forno e dal pm Antonio Sangermano è stata accolta con soddisfazione in Procura. «Ora andremo in udienza» si è limitato a dire, sorridendo, il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati." (Corriere della Sera 15/02/2011)

Tralasciando le questioni sulla competenza o meno della Procura di Milano nel processo, che dei giudici gongolino per l’accoglimento di una richiesta di giudizio immediato, in un paese civile, è inaccettabile. Una persona libera deve pretendere la stessa imparzialità e terzietà da qualsiasi giudice naturale precostituito per legge, chiunque sia l’imputato e qualsiasi crimine si presume abbia commesso. E’ un requisito essenziale dell’incarico ricoperto dalla magistratura, depositaria del potere giudiziario nel nostro paese.

La questione in Italia si è ridotta ad una guerra tra bande, tra corporazioni. La magistratura fa di tutto per processare Berlusconi, Berlusconi di conseguenza fa di tutto per non farsi processare. Nessuno rispetta le regole. Allo stesso tempo, però, la magistratura omette di recare giustizia a centinaia di migliaia di altri cittadini italiani perché sotto scacco delle lobby o del potentato economico/politico di turno. Quella alla quale assistiamo non è la lotta del bene contro il male, è semplicemente lo scontro tra due entità contrapposte all’interno di un sistema malato e corrotto.

A differenza di quello che molti vorrebbero far credere all’opinione pubblica, la magistratura è una categoria professionale esattamente come tutte le altre. E’ composta in larga parte da professionisti seri ed integerrimi, che svolgono il loro ufficio con virtù e diligenza, spesso anche a costo della propria vita, ma presenta al suo interno anche individui che fanno della loro professione un mezzo per arrivare ad un fine ulteriore, egoistico e personale. Anche la magistratura è fatta di persone, di uomini. E molto spesso gli uomini antepongono i propri interessi personali al loro dovere morale.

Per farvi un esempio che non riguardi la politica, vi basti sapere che la Corte d’Appello di Roma ha condannato per violenza privata, ribaltando la sentenza di primo grado, l’inviato di "Striscia la Notizia" Valerio Staffelli, reo solamente di aver ricevuto una “microfonata” in faccia dall’allora direttore di Rai1 Fabrizio del Noce.

In Italia la giustizia va a due velocità. E se ipoteticamente vorranno farvi credere che la legge è uguale per tutti, sappiate che non è (sempre) così..

Negare che il problema esista è da ipocriti. La riforma della giustizia - ovviamente non mi riferisco a quella auspicata dal PdL - è una questione di vitale importanza per la coesione sociale del paese. I governi che succederanno a quello attuale, di qualsiasi colore politico, dovranno affrontarla immediatamente, con la massima urgenza. Tutte le categorie professionali sono responsabili della situazione attuale del sistema Italia. Quella dei magistrati, però, a differenza delle altre, è l’unica a non pagare mai per i propri errori.

Forse - nutro ancora numerose riserve - il 6 aprile l’Italia si libererà finalmente di Berlusconi. Ma a che prezzo? Il Cavaliere - non mi stancherò di ripeterlo - va sconfitto politicamente. Anni di girotondi, manifestazioni di piazza, non hanno fatto altro che rafforzarlo. Hanno avuto esattamente l’esito opposto a quello sperato. Ed a tutti quelli che - in parte a ragione - affermano che il Cavaliere controlli capillarmente il mondo dell'informazione in Italia e non perdono occasione di sottolineare la faziosità de “Il Giornale” o di “Libero”, vorrei ricordare che il quotidiano “La Repubblica”, che considerano punto di riferimento, faro nella notte, è soltanto l’altra faccia della medaglia. Se il gruppo editoriale “L’Espresso” - di proprietà di Carlo De Benedetti, alter ego-nemesi del premier - porta avanti crociate anti-Berlusconi non lo fa di certo per tutelare i vostri interessi. E vorrei ricordare anche i governi di centrosinistra degli ultimi 15 anni, altrettanto disastrosi. D’Alema. quando ne aveva la possibilità, non ha fatto nulla per indebolire l’avversario politico. In compenso, negli anni della guerra del Kosovo - con centinaia di soldati italiani che ancora continuano a patire gli effetti nefasti dell’uranio impoverito nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica - ha sfornato leggi a danno dei cittadini, una su tutte il decreto salva banche. Per non parlare dei governi Prodi, dello scandalo Telekom Serbia, dell’indulto, delle liti interne, dell’ingovernabilità.

Il 6 aprile magari verrà anche sconfitto Berlusconi, ma non il berlusconismo. Quello vivrà ancora, per chissà quanti anni, nelle menti dei suoi elettori, nei suoi sodali, nell’incapacità delle opposizioni di trovare proposte concrete per il bene del paese. Se pensate che eliminato Berlusconi, che considerate il dittatore, l’incarnazione di tutti i mali della società, il paese giungerà improvvisamente ad una nuova età dell’oro siete soltanto dei poveri illusi. Se il 6 aprile l’eterna lotta tra Berlusconi e la magistratura si risolverà in favore della seconda, ne pagheremo a caro prezzo le conseguenze.

Comunque vada, alla nostra generazione spetta l’ingrato compito di sconfiggere il berlusconismo. Dobbiamo portare avanti ogni giorno questa battaglia, nelle nostre strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Berlusconi è umano. Giudici o non giudici, prima o poi sparirà. La mentalità inculcata nelle menti di troppi italiani non sparirà mai se non saremo noi stessi a volerlo.

Alessio Lannutti


P.S. Nella dialettica attuale nessuno rispetta le regole del gioco. Il fine giustifica i mezzi, diceva qualcuno. Questo aforisma è erroneamente attribuito a Machiavelli, ma poco importa. Rappresenta perfettamente il quadro conflittuale dell’Italia dei nostri giorni.


Fonti: http://www.corriere.it/politica/11_febbraio_15/berlusconi-processo-sei-aprile_bfca3430-38ec-11e0-8e8c-58f8c06c30d0.shtml

martedì 7 dicembre 2010

La contesa di Roma tra le mafie internazionali nel silenzio generale


Da quanto appreso dalle varie fonti giudiziarie (in particolare dalla Direzione Nazionale Antimafia), la città di Roma, una capitale europea a dir poco militarizzata, è un importante snodo di manovre criminali di organizzazioni provenienti da tutto il mondo. A differenza proprio delle regioni meridionali, Roma non è sotto il predominio di una cupola o di un’organizzazione predominante, ma è contesa sia tra i fantomatici “poteri forti” italiani che tra le varie mafie del sud o internazionali.

Ad esempio, l’interesse della mafia russa a Roma è focalizzato su un’attività delittuosa particolarmente remunerativa “costituita dalla tratta degli esseri umani”. Da quanto si apprende, moltissime indagini aperte riguardano proprio l’immigrazione clandestina, lo sfruttamento ed il favoreggiamento di donne provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Per essere precisi, può essere citata l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Roma in data 7 luglio 2007 nei confronti di un’associazione criminale finalizzata alla commissione di delitti di estorsione, scambio di documenti falsi ed immigrazione clandestina.

Un altro esempio interessante da riportare è la presenza della mafia cinese. Un’organizzazione che a noi europei quasi affascina, anche perché la si vede come qualcosa di distante dal nostro territorio e soprattutto qualcosa di cui non dobbiamo preoccuparci. E probabilmente è proprio questa la sua forza. Dalle varie relazioni dei giudici antimafia non risulta nessun collegamento delle organizzazioni criminali cinesi operanti in Italia con le Triadi. I gruppi criminali sono mimetizzati all’interno della comunità d’origine e a Roma queste associazioni sostituiscono per i cinesi la presenza dello Stato. Le attività illecite poste in essere sono collegate più che altro al traffico di esseri umani: questo riguarda prevalentemente clandestini che per pagare i debiti con gli organizzatori del viaggio vengono sfruttati per anni come manovalanza a costi irrilevanti per il datore di lavoro. Va citata un’indagine che ha portato all’arresto di 4 cittadini cinesi nel 2007, dediti allo sfruttamento della prostituzione, svolta in appartamenti privati. Prostituzione che si va diffondendo sotto la copertura offerta da centri di massaggi aperti anche agli occidentali.

La magistratura e le forze dell’ordine sono quotidianamente impegnate contro questi fenomeni, sempre più rilevanti nella nostra capitale. Questi dati, insieme agli innumerevoli articoli nella sezione “Cronaca di Roma” dei più importanti quotidiani, devono farci riflettere - e magari indignare - quando leggiamo le dichiarazioni di alte cariche istituzionali (più cha altro locali) per le quali a Roma la criminalità organizzata non esisterebbe o tutt’al più sarebbe un fenomeno di scarso rilievo.

Francesco De Ficchy

giovedì 2 dicembre 2010

Gli studenti di Tor Vergata contro la riforma Gelmini


Il giorno 1 dicembre 2010 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” si è svolta un’assemblea plurale e partecipata sulla riforma Gelmini. La mobilitazione continua anche all’indomani dell’approvazione di questa legge che studenti e ricercatori ritengono dannosa per il futuro della ricerca e dell’istruzione universitaria.

Il confronto, pur nella diversità delle idee, è stato costruttivo e sono emersi punti condivisi tra le varie parti, sebbene siano affiorate con maggiore forza le posizioni della punta più avanzata della contestazione alla riforma, nello specifico Francesco Saverio Lettieri, senatore accademico di Tor Vergata, esponente del PD, nonché promotore della manifestazione.

A margine dell’assemblea Lettieri ha dichiarato: “L’incontro che si è tenuto oggi presso la Facoltà di Giurisprudenza è stato realizzato per comunicare il vivo dissenso che una parte della comunità accademica di Tor Vergata esprime in merito alla riforma, deprecando gli effetti dannosi a livello economico, gestionale nonché scientifico che da essa discendono sul mondo universitario”.

Le proposte principali avanzate dagli organizzatori sono le seguenti: università pubblica per il presente ed il futuro, perché oltre al merito venga premiato anche il bisogno; lotta alla precarietà che affligge i lavoratori della conoscenza; libertà di ricerca ed estraneità degli atenei dalle logiche di mercato, perché l’università non diventi un luogo di formazione per le aziende.

A conclusione dei lavori dell’assemblea l’intera platea si è spostata presso il Rettorato per interloquire personalmente con il Rettore, sostenitore di questa riforma, nell’ambito di un’occupazione simbolica e pacifica.

Gennaro Rizzo

lunedì 15 novembre 2010

Penetrazione mafiosa nel Lazio: il silenzio dei mass media


Il luogo comune nella frase "quattro Regioni del Sud sono sotto il controllo della criminalità organizzata" è senz’altro confermato ormai da decenni. Non bisogna però sottovalutare l’infiltrazione di queste organizzazioni anche nelle altre regioni italiane. Gli ultimi dati trasmessi dagli uffici della Direzione Nazionale Antimafia sono allarmanti, soprattutto per quanto riguarda la Regione Lazio. Quest’ultima risulta la seconda in Italia, dopo la Campania, per consumo di droga e decessi dovuti ad assunzione di stupefacenti. Inutile specificare che la vendita illegale di stupefacenti (droghe leggere e pesanti) è connessa irrimediabilmente all’attività della criminalità organizzata.

Tuttavia la penetrazione mafiosa nella regione Lazio è abbastanza risalente nel tempo. Già negli anni '60 il carismatico boss mafioso Frank Coppola venne inviato nel Lazio in soggiorno obbligato. Con l’attività della banda della Magliana alla fine degli anni '70 la criminalità organizzata risultava già inserita nel tessuto economico-sociale romano. Oggi la situazione è ancora più preoccupante. Negli ultimi anni la mafia è penetrata anche nei consigli comunali e quindi nei palazzi della politica. Nel novembre del 2005 il Consiglio dei Ministri sciolse il Consiglio comunale di Nettuno. I mass-media titolarono esplicitamente "Mafia a Nettuno". Il comune di Nettuno, però, è soltanto un esempio. Il Corriere della Sera riportò la dichiarazione dell’ex Procuratore di Velletri Mezzetti, che affermava che "in quell'area ci sono almeno 5 consigli comunali da sciogliere".

Il caso più recente di infiltrazioni mafiose nei consigli comunali riguarda il comune di Fondi, in provincia di Latina. L’8 settembre 2008 il Prefetto di Latina Bruno Frattasi, con una dettagliata relazione di 507 pagine, richiese formalmente lo scioglimento del Consiglio comunale di Fondi. Tuttavia il Governo negò lo scioglimento, nonostante anche la DNA evidenziò la situazione preoccupante per evidenti ed accertati rapporti tra amministratori locali ed elementi appartenenti a gruppi criminali. E come ultimo regalo alla giustizia il 20 dicembre 2009, per ordine del Consiglio dei Ministri, il Prefetto di Latina Bruno Frattasi venne rimosso dall’incarico e trasferito d’ufficio, allontanando così il più capace e profondo conoscitore della vicenda Fondi, che affermò amaramente: "mi guardo intorno solo solo".

E’ da notare quindi una climax della penetrazione mafiosa in questa regione. Non può essere considerata più un’emergenza, ma uno stato permanente, ormai da combattere soprattutto con l’informazione quotidiana e non solo in occasione di un omicidio eccellente o di un caso eclatante che fa notizia.

Francesco De Ficchy

giovedì 4 novembre 2010

Rave parties, tra illegalità, droga ed alcool



Rave party: molti conoscono, ma non tutti sanno. Quante volte abbiamo sentito questa parola? Tante. Eppure non abbiamo idea della loro pericolosità. O forse ce l'abbiamo, ma non la capiamo appieno.
Rave party è il termine utilizzato dall’inizio degli anni '80 per descrivere feste caratterizzate dalla presenza di musica elettronica, con ritmo incalzante e giochi di luce. Letteralmente vuol dire "festa-delirio". Questi eventi nascono negli U.S.A. ed in Europa in un clima di generale contestazione, incentivate da movimenti culturali tesi a denunciare problemi politici, difficoltà economiche e disagi sociali.

Sin qui tutto bene, niente da obiettare. La musica in questione, poi (acid house, techno, jungle, drum & bass), può piacere o meno, ma si tratta di gusti che sarebbe ingiusto sindacare in questa sede. Il problema è che la musica, assordante e dal ritmo potente, diventa un elemento chiave che, insieme ad altri ingredienti ben più pesanti - come illegalità, droghe ed alcool - contribuisce a formare un cocktail micidiale e pericoloso. Purtroppo, molto spesso, l'ultimo che un ragazzo possa "bere" nella sua vita.

Qualche giorno fa, nei quartieri romani del Casilino e di Tor Cervara, sono stati sventati due rave parties. Ed è stata una fortuna, per i ragazzi partecipanti, che la Polizia abbia impedito il loro svolgimento. Tuttavia, non sempre i rave parties vengono bloccati in tempo, ed in quei casi bisogna apprendere dai giornali notizie spiacevoli: come quella apparsa sui quotidiani il 3 ottobre scorso, riguardante il coma di una ventiduenne romana a Fara Sabina; oppure quella della morte di un diciannovenne di Carpi, morto nel modenese pochi giorni dopo.

Ma andiamo per gradi. Innanzitutto l'illegalità di queste manifestazioni, anche se rappresenta un male minore, non può essere trascurata. Il rave party ignora il concetto di proprietà privata, occupando gli spazi abbandonati delle grandi città (come ad esempio fabbriche o edifici pubblici non più utilizzati): e l'occupazione di suolo pubblico o di una proprietà altrui è reato. Il questore di Roma Francesco Tagliente, in occasione degli ultimi episodi verificatisi, ha invitato i proprietari di edifici e terreni in disuso a vigilarli e metterli in sicurezza. Altra faccia della medaglia, è poi la mancanza di autorizzazione ad organizzare tali raduni da parte degli organi locali. C'è però da dire che non sempre tale autorizzazione manca: in tal caso, di pari passo, non vi può essere occupazione indebita di proprietà. Un esempio è lo "Street Rave Parade" di Bologna, autorizzato ormai ogni anno dal questore di Bologna e pienamente legale.

E' da qui però che ci ricolleghiamo al secondo problema dei rave parties: droghe ed alcool. Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, ha più volte cercato di impedire lo svolgimento di tali raduni, giungendo persino a riprendere il questore della sua città per aver utilizzato metodi troppo morbidi a tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. E' infatti compito di ogni sindaco garantire la salute dei propri concittadini e la sicurezza e la serenità di chi si trova a dover ascoltare la musica troppo alta di un vicino rave ad ore improbabili della notte (ma anche di giorno, come spesso accade), o a fronteggiare giovani ubriachi e sotto l'effetto di stupefacenti. Nei raves ordine pubblico e sicurezza non sono parole conosciute, né concetti auspicati. Sicuramente lo spaccio di droghe è illegale, ma non è tanto questo il problema. Il problema è il divertimento dei ragazzi. Divertimento che si ottiene solo se si raggiunge lo "sballo", o ci si "brucia" il cervello. E' interessante leggere il rapporto stilato ogni anno dall'Asl di Bologna sul quadro epidemiologico locale (prendiamo ad esempio Bologna e dintorni, ma il quadro non cambia molto nelle altre regioni italiane). I ragazzi iniziano ad utilizzare le droghe leggere molto presto, già all'età di 15-16 anni, per poi passare anno dopo anno a droghe più pesanti. Quello che dispiace notare è che l'uso di droghe e di alcool è sempre più frequente: i casi di ricovero di fatto sono aumentati negli ultimi anni. C'è però anche un aspetto positivo: le forze dell'ordine confermano anno dopo anno il loro operato, come si evince dal sito della Polizia di Stato, leggendo i dati riguardanti gli arresti di spacciatori e le confische di sostanze stupefacenti.

Ma può essere sufficiente soltanto una repressione cieca del fenomeno o forse serve anche aiutare a far comprendere la sua pericolosità? La prevenzione diviene allora fondamentale. L'Italia, dal canto suo, ha adottato misure in accordo con il PdA (piano d'azione) europeo in tema di tossicodipendenza e con lo EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction). Il piano quadriennale (2009-2012) si divide in 5 aree: coordinamento nazionale tra regioni, enti e Stato; riduzione della domanda tramite la sensibilizzazione delle scuole, delle famiglie ed il coinvolgimento dei ragazzi stessi; riduzione dell'offerta con la lotta alla criminalità organizzata; cooperazione internazionale; infine, informazione, formazione, ricerca e valutazione per aiutare gli operatori del settore ad essere più efficaci.

La volontà pare esserci, ma purtroppo non è mai abbastanza. Le chiacchiere sono le solite. Spetta a noi stessi non cadere nella trappola, ma anche alle persone che ci stanno intorno impedircelo, con i fatti, nonché alle istituzioni. Auspicando che le belle parole diventino presto fatti.

Andrea Giocondi

domenica 18 luglio 2010

Concorso giornalistico del Rotary Club Castelli Romani: opportunità o specchietto per le allodole?


All’incirca una settimana fa è giunta alla mia attenzione una lettera del Rotary Club dei Castelli Romani. L’oggetto della missiva riguardava l’estrazione del mio nominativo dall’annuario dell’Ordine dei Giornalisti, in quanto giornalista professionista, per la partecipazione ad un concorso giornalistico a premi (3000 euro per il vincitore, 1500 euro per il secondo classificato).

Il contenuto del messaggio enfatizzava la volontà del Rotary di incoraggiare l’attività professionale dei giornalisti più giovani ed invitava a consultare il sito internet del Club per prendere visione del regolamento ed effettuare l’accreditamento (con il termine ultimo fissato per il 30 luglio). Iniziativa in apparenza lodevole. Oppure no?

Perché vedete, un premio di 3000 euro può fare veramente comodo ad un giovane giornalista, a fortiori in uno scenario come quello di oggi. Ci si avvicina alla professione pieni di buone intenzioni, di volontà, di speranza e si finisce nella morsa del precariato, sviliti intellettualmente, sottopagati, spesso a cottimo, in un rapporto di sperequazione con le grandi e piccole realtà editoriali del nostro paese.

In basso, nella parte sinistra della lettera campeggiava (e campeggia tuttora, 18-07-2010 ore 18,40, anche sul sito internet del Rotary Club Castelli Romani) la dicitura “Concorso patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio”. Che dire, un’indubbia garanzia di serietà in grado di fugare dubbi e perplessità sullo svolgimento del concorso, opportunità per conseguire un riconoscimento per i propri sforzi in un mondo sempre più duro e competitivo.

Spesso le apparenze ingannano. Bisogna specificare che il concorso è indetto dal Rotary Club, che mette personalmente a disposizione i premi. I soldi sono i loro, hanno il pieno diritto di farci ciò che ritengono opportuno. Tuttavia ciò non esenta gli organizzatori stessi dal ricevere critiche o giudizi da parte dei diretti interessati. Il concorso è pienamente legittimo, come la libertà per i giornalisti invitati di parteciparvi o meno. Questo è fuori discussione.

Prendendo visione del regolamento, però, emergono delle discrepanze e degli aspetti quantomeno discutibili. E’ un concorso indetto per premiare la capacità dei giovani giornalisti (nati dopo il 01/09/1975), tuttavia è necessario produrre una documentazione per l’accreditamento forse persino più scrupolosa e dettagliata di quella necessaria per l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti stesso, contenente: la dichiarazione di aver svolto attività giornalistica nel periodo gennaio-giugno 2010; le fotocopie degli ultimi 6 articoli regolarmente pubblicati con l’indicazione della testata giornalistica, della sua tipologia e periodicità, e del numero di copie effettivamente stampate (in caso di servizi audiovisivi la copia del servizio con l’indicazione dell’emittente e della data di trasmissione); dulcis in fundo, dimostrare la collaborazione con quotidiani, settimanali o testate radiotelevisive di primaria importanza.

Sembrerebbe proprio che non è tutto oro quel che luccica. Sei un giornalista che collabora con una piccolissima realtà locale, un blogger, peggio ancora un disoccupato? Sei tagliato fuori. Ma nei concorsi a premi non si dovrebbe premiare semplicemente il più bravo, a prescindere da quanti santi ha in paradiso? Oppure dietro il pretesto del concorso stesso si cela una finalità differente?

La risposta, nella sua ovvia chiarezza, la forniscono i punti successivi del regolamento.

Innanzitutto l’oggetto dell’elaborato giornalistico deve riguardare le attività del Rotary in generale o le attività specifiche del singolo club. Si viene invitati alle loro iniziative e si fa il pezzo, pubblicandolo. Legittimo, ma quantomeno opinabile. In gergo giornalistico operazioni di questo tipo hanno un nome esatto, si chiamano “marchette”. E di certo non elevano l’etica deontologica della nostra professione. Le fanno in molti, ma non significa sia opportuno iniziare anche i giovani a pratiche di questo tipo.

In secondo luogo le modalità di valutazione, ad insindacabile giudizio degli organizzatori stessi (e fin qui ci mancherebbe), tengono conto del numero di servizi effettuati e dell’importanza del mezzo sul quale il servizio stesso è stato pubblicato/trasmesso (numero di potenziali lettori/telespettatori). Il povero giovane giornalista del giornaletto di quartiere potrà anche scrivere il pezzo della sua vita, ma non potrà mai competere con il collega in forza ad una realtà editoriale nazionale. E questo significa incoraggiare i giovani? Dovrebbe vincere chi guida meglio, non chi ha la macchina più veloce.

Il concorso è semplicemente un espediente, a mio avviso meschino, per ottenere pubblicità sui vari mezzi di comunicazione con una minima spesa. Sfruttando per di più l’anello probabilmente più debole della categoria professionale, i giovani giornalisti.

Alessio Lannutti


P.S. Ricordate il patrocinio del concorso da parte dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio? Ecco cosa appare nella home page dell’Ordine, che ringrazio personalmente. Ritengo non abbia più alcun senso spendere ulteriori parole in merito alla vicenda, il comunicato stampa parla da solo.


www.odg.roma.it

COMUNICATO URGENTE
MOLTI COLLEGHI ( NON SAPPIAMO QUANTI, MA COMUNQUE UN BUON NUMERO) HANNO AVUTO NOTIZIA, TRAMITE LETTERA, DI UN CONCORSO GIORNALISTICO A PREMI INDETTO DAL ROTARY CLUB ROMA CASTELLI ROMANI. NEL DEPLIANT ILLUSTRATIVO E’ SCRITTO ANCHE CHE IL SUDDETTO CONCORSO HA OTTENUTO IL PATROCINIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL LAZIO. NOTIZIA ASSOLUTAMENTE INFONDATA PERCHE’ L’ORDINE NON HA MAI CONCESSO SIMILI PATROCINI AL ROTARY DI CUI SOPRA. IL CONSIGLIO COMPOSTO DA NOVE GIORNALISTI NEGA NEL MODO PIU’ ASSOLUTO UNA CIRCOSTANZA DEL GENERE. INVITIAMO PERTANTO GLI ORGANIZZATORI A NORMA DI LEGGE A SMENTIRE IMMEDIATAMENTE QUANTO DIFFUSO, MENTRE CON L’AIUTO DEI PROPRI LEGALI L’ORDINE VERIFICHERA’ QUALI ALTRI PROVVEDIMENTI PRENDERE AL PROPOSITO.

Aspettando Castelli in Africa 2010: convegni, film, musica e teatro


Il Festival "Castelli in Africa" giunge quest'anno alla sua terza edizione grazie al contributo della Regione Lazio, della Provincia di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali e ai comuni patrocinanti di Lanuvio, Genzano di Roma, Albano Laziale e Velletri. La Comunità Giovanile Zampanò, quale associazione organizzatrice dell'evento propone anche quest'anno una miscela di culture musicali e arti all'insegna della contaminazione che abbracciano non solo l'Africa ma tutto il bacino del Mediterraneo.

In attesa di settembre, però, Castelli in Africa propone quattro appuntamenti anche nel mese di luglio e agosto nei diversi paesi dei Castelli Romani: una ricca anteprima fatta di film, convegni, musica e teatro.

Tutti gli eventi precedono l'ormai consueto appuntamento con i quattro giorni di musica, stages, danza, convegni e mostre che si svolgeranno dal 2 AL 5 SETTEMBRE A LANUVIO presso la suggestiva Villa Sforza Cesarini. Le date lanuvine costituiscono il fulcro del festival che non propone solo buona musica, ma è un vero momento di aggregazione all'insegna della multiculturalità, dell'integrazione e della solidarietà internazionale.

Si inizia il 18 luglio a Genzano di Roma presso l'auditorium dell'Infiorata con la proiezione, alle ore 20.30, dei cortometraggi partecipanti al concorso "AFRICA IN CORTI" bandito dalla stessa Comunità Giovanile Zampanò.

Si prosegue poi la settimana successiva, il 23 luglio alle ore 09.30, con un convegno organizzato in collaborazione con l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata dal titolo "ROMANI D’AFRICA", STORIA, CULTURA E COMMERCI" che si terrà presso la sala convegni della BCC "G. Toniolo".

Il 25 luglio a Velletri si punta tutto sull'arte teatrale alle ore 20.30 andrà in scena lo spettacolo teatrale "POETICA DANZA SELVAGGIA", liberamente tratto dal romanzo "ASPETTANDO IL VOTO DELLE BESTIE SELVAGGE" di AHMADOU KOUROUMA. Lo spettacolo sarà messo in scena grazie alla sinergia di diversi laboratori teatrali dei Castelli Romani con alcuni membri della Comunità Giovanile Zampanò e sarà musicato dal vivo con i percussionisti del gruppo Wamde, guidati da Pasquale Natoli.

Sempre in ambito musicale il 2 agosto sarà la volta di Albano Laziale che all'interno della rassegna "Albano Estate" ospiterà una serata di Castelli in Africa con il concerto degli SKADDIA, band musicale del Salento che fonda le sue basi sul recupero di musiche e canti affidati ormai solo ed esclusivamente alla tradizione orale, come pizziche, stornelli e nenie: si va dalla pizzica più conosciuta di San Vito dei Normanni a quella di Villa Castelli, da quella di Ostuni a quella di Ceglie Messapica.

Anche negli eventi di apertura il Festival Castelli in Africa riesce a mescolare diverse forme artistiche e culturali nel pieno spirito che anima l'evento ormai diventato un punto di riferimento delle manifestazioni culturali della Provincia di Roma e dell'intero Lazio.

Per informazioni:

http://www.castelliinafrica.it/



Francesca Ragno (cell. 3497865669)

Ufficio Stampa

Castelli in Africa

Officina Movimento