mercoledì 2 settembre 2009

Quando la "libertà" è affascinata dalla dittatura


La politica estera è rappresentata dalle relazioni internazionali intrattenute reciprocamente dai governi dei vari Stati. Molto spesso, è specchio dei rapporti di convenienza esistenti tra i paesi stessi. L’Italia, storicamente - a differenza di altre nazioni europee - non si è mai trovata in una situazione di equiordinazione con le altre grandi realtà internazionali. Esempio lampante è la sudditanza nei riguardi degli Stati Uniti d’America, eredità delle vicende del secondo conflitto mondiale. Tale situazione di subordinazione, determinata in gran parte dalla riconoscenza del popolo italiano per il piano Marshall, è cresciuta esponenzialmente con il passare del tempo.

Il nostro momento più alto sul piano internazionale risale al periodo del governo Craxi - personaggio senza ombra di dubbio negativo per la nostra nazione (e grande amico di Muhammar Gheddafi, di cui parleremo più avanti, che gli deve addirittura la vita) - nell’episodio della “crisi di Sigonella”, forse prima vera circostanza nella quale lo Stato italiano impose con fermezza la propria sovranità agli USA. Da quel momento in poi iniziò la fase discendente della politica estera italiana, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Mai era capitato negli anni che il nostro paese subisse un vero e proprio ricatto da uno Stato canaglia. Ebbene sì, il caro governo delle “libertà” (libertà forse intese con riguardo ai costumi sessuali dei suoi esponenti, viste le vicende degli ultimi tempi) dopo averci mostrato da vicino come è fatto un dittatore - ovviamente con lampanti finalità pedagogiche - invitando il leader libico Muhammar Gheddafi a Roma in giugno, dopo aver concluso accordi capestro con la Libia in materia di contrasto all’immigrazione clandestina (quando sarebbe stato più semplice ed economico istituire in Italia la zona contigua), ha deciso di confermare la visita a Tripoli del Presidente del Consiglio a pochissimi giorni dalla liberazione da parte delle autorità scozzesi dell’attentatore di Lockerbie. Al-Megrahi, ormai malato terminale, è stato festeggiato al rientro in Libia come un eroe. Scene disgustose, accolte con sdegno in ogni angolo del globo, ma non in Italia. Roba da rimpiangere la politica estera “cowboy” di Ronald Reagan.

Gheddafi è un dittatorucolo da quattro soldi, terrorista, nemico della democrazia, presuntuoso, spaccone e arrogante. Per di più ha un pessimo gusto nel vestire: ha circa 70 anni e gira ancora agghindato come il Michael Jackson del periodo di Thriller e di Bad. A Roma si è presentato con atteggiamenti da padrone di casa, portando sul petto la foto di un eroe anti-italiano del periodo post-coloniale. Ha fatto le solite quattro sparate da bullo e prontamente gli esponenti politici che lo ospitavano sono stati costretti a dissociarsi. Dopo la contestata visita all’Università della Sapienza, ha chiesto addirittura - senza successo - di parlare alla gente dalla balconata di Piazza Venezia. Fortunatamente, qualche parlamentare di buon senso, fra le polemiche generali della maggioranza, è riuscito ad impedire che il colonnello tenesse il discorso programmato nell’aula del Senato. Sarebbe stata la morte della democrazia italiana. Per carità di Dio, fosse venuto in visita il comunista Castro qualche parlamentare del Pdl si sarebbe incatenato in Piazza Colonna, ma Gheddafi, in quanto compagno di merende del nostro premier, non si tocca.

Berlusconi si è persino scusato con la Libia per gli anni del dominio coloniale. Personalmente non riteniamo che l’Italia debba scusarsi per azioni poste in essere oltre mezzo secolo fa da una dittatura che opprimeva e teneva in giogo il nostro paese, prima ancora della Libia. Senza tenere poi conto delle rappresaglie libiche degli anni successivi nei confronti dei cittadini italiani. Le scuse, peraltro, andrebbero fatte alle popolazioni vessate, non ad un dittatore che si permette di giustificare il terrorismo internazionale e che indottrina i suoi successori all’odio verso l’occidente. I parenti di Gheddafi infatti non sono da meno: uno dei figli, trattenuto qualche tempo fa dalle autorità svizzere, aveva auspicato la cancellazione della Confederazione Elvetica dalle cartine geografiche. Assurdo.

I rapporti con la Libia, purtroppo, sono questi. Oggi gli accordi sono siglati ed il nostro paese è costretto a rispettarli (nella vana speranza che la controparte faccia altrettanto). Pattugliamento congiunto, dicono loro. In realtà l’Italia si impegna a costruire infrastrutture nel paese africano e fornisce motovedette ai libici, che loro utilizzano per finalità personali - come ad esempio fermare i pescherecci italiani in acque internazionali, in barba alle più elementari norme di diritto internazionale - non certo per impedire l’esodo degli immigrati clandestini verso le nostre coste, grosso affare per molti schiavisti di quelle parti.

Proprio adesso, nel momento in cui le relazioni internazionali tra Libia e comunità internazionale sono (giustamente) ai minimi storici per il caso Al-Megrahi - sembra proprio che quest’estate la giustizia abbia deciso di abdicare, visto il trend di liberare terroristi sanguinari: Fioravanti docet - il nostro Presidente del Consiglio ha deciso di non rinunciare alla visita a Tripoli. Ciò non bastasse, il Ministero della Difesa ha gentilmente offerto (tanto paga Pantalone) un’esibizione delle Frecce Tricolori in occasione dei 40 anni di governo (o dittatura, il nostro non si offenderà di certo) del colonnello Muhammar Gheddafi. Di tutta risposta le autorità libiche hanno richiesto all’Aeronautica Militare Italiana l’utilizzo di fumogeni verdi in luogo di quelli classici tricolore. Al secco diniego ricevuto, hanno risposto osteggiando le esercitazioni della nostra pattuglia acrobatica.

Gheddafi o meno, possiamo affermare senza alcun timore di essere smentiti che la politica estera italiana - a differenza di quanto vogliono farci credere i propagandisti della maggioranza - con il governo Berlusconi III ha veramente toccato il fondo del barile.

Alessio Lannutti

Nessun commento:

Posta un commento