venerdì 19 giugno 2009
La corruzione, prassi consolidata
Nel corso dei vari secoli della storia si sono susseguiti forme di governo, ideali politici, sistemi normativi e sociali alquanto diversi tra loro. Questi hanno contribuito a trasformare, anche radicalmente, il pensiero dell'uomo e viceversa, quasi allo stesso tempo, da esso sono stati mutati. Possiamo affermare che la realtà in cui vive l'uomo è contingente. Lo stesso uomo è contingente ed i mutamenti della realtà e dell'uomo sono, più o meno, reciproci e proporzionali, relativi e connessi. Qual è la realtà dell'uomo? L'uomo è, per definizione, un animale sociale e la realtà in cui vive non è nient'altro che la società. Esistono fenomeni che paiono insensibili a questi mutamenti: un esempio calzante è dato dalla prassi della corruzione.
Cos'è la "corruzione"?
La corruzione è quel fenomeno per mezzo del quale un soggetto titolare di una qualsiasi forma di potere politico – non importa se pubblico o privato - agisce fuori dagli standard normativi del sistema in cui vive favorendo interessi particolaristici, spinto dall'avere in cambio una ricompensa.
Il fenomeno della corruzione convive con l'uomo di ogni tempo ed epoca. Ove vi sia anche un minimo di organizzazione politica vi è corruzione. La corruzione sembra appartenere quindi all'uomo nella stessa misura in cui gli appartiene qualsiasi altra forma di esperienza di vita sociale. Se da un lato la corruzione appare insensibile ai mutamenti sociali, dall'altro, altrettanto insensibile a tali mutamenti è la condanna di tale fenomeno: non esiste ordinamento giuridico che non sanzioni la corruzione quando essa produca effetti discriminatori tra le persone, arrecando danni ad una parte e reciprocamente vantaggi ad un'altra. E’ difficile, dall'altro, giustificare tale condanna quando non è identificabile un soggetto immediatamente danneggiato, senza ricorrere ad argomentazioni di tipo morale alle quali poi ricondurre un effetto giuridico. Per questo motivo esiste anche la tentazione di derubricare la corruzione, riconducendola a quelli che sono rapporti economici sanzionabili solo moralmente. Se a ciò aggiungiamo alcune formulazioni della scienza politica, secondo le quali la corruzione non sarebbe disfunzionale in un sistema sociale, donando a questo la flessibilità economica necessaria per lo sviluppo nel breve periodo (non nel lungo periodo, in quanto ad essere intaccata sarebbe la stessa legittimità del sistema, la risorsa più importante dei sistemi sociali), le tesi a favore della derubricazione della corruzione acquistano anche fondatezza scientifica. Per capire l'illiceità intrinseca della corruzione bisogna spostarsi su un terreno diverso da quello della scienza politica, perché tale illiceità non ha primariamente carattere politico.
La corruzione è ingiusta anche quando si dimostra la sua non nocività.
Ben può essere concepita la corruzione in un tipo di società "primitiva", nella quale gli uomini, scambiandosi tra loro doni, creano nessi di "reciprocità chiusa", ovvero alleanza e garanzia. Colui con il quale non si possono instaurare simili vincoli è solo il "nemico". E' propria della "mentalità primitiva" la logica della reciprocità chiusa, mettendo in rapporto deboli con potenti e creando reciproche aspettative normative: la sottomissione del debole e la benevolenza del potente, la cui violazione giustifica l'uso della forza del potente verso il debole e la vendetta del debole verso il potente.
Tutto questo nel quadro attuale non può funzionare. Oggi la relazione tra potente e debole viene a costituirsi secondo un "principio impersonale di giustizia" e non secondo quella forma di concreta reciprocità personale. Il paradigma della reciprocità chiusa viene così sostituito da quello della "reciprocità aperta”, in cui la possibilità della relazione è un presupposto e non un effetto in cui si generalizza la possibilità di relazionalità interpersonale. Appare così delineato il paradigma del diritto, non del potere, che ha fondamento nella giustizia e non nella benevolenza del potente.
La corruzione desta quindi scandalo e indignazione non perché è concepita come dannosa, ma perché è ingiusta. Va condannata perché infrange la fedeltà e - umiliando la giustizia - svuota di ogni senso il diritto. La lotta contro la corruzione non è lotta per la difesa dello stato in sé, ma è lotta per il diritto, perché il bene che viene ad essere leso non è un bene politico, ma giuridico. Un regime è tanto più democratico quanto più in esso lo spazio del diritto è compresso. La democrazia si fonda sul diritto, cioè sul reciproco riconoscimento dei cittadini come eguali. La corruzione infrange l'eguaglianza fondamentale, portato del diritto. Per la democrazia il problema della corruzione è vitale, poiché essa rende impensabile la sua stessa esistenza.
Gennaro Rizzo
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