
Siamo il popolo italiano da ormai 150 anni, forse uno dei più contraddittori del mondo, un ossimoro perpetuo, gran lavoratori e maestri nell’arrangiarsi, entusiasti ed annoiati, amati e odiati. Siamo arabi ed alpini, fieri del nostro paese anche se spesso ne parliamo male, capaci di vette irraggiungibili e di cadute in picchiata irreparabili. Per gli stranieri siamo pizza e mandolino, artisti, poeti e viaggiatori, seduttori, affascinanti cantastorie, ospitali, ma anche mafiosi, maleducati e scansafatiche, teatranti nel senso peggiore del termine, inaffidabili. Molti in Europa ci considerano un fanalino di coda - se non addirittura una zavorra - e non solo per il politicante di turno, ma per la nostra mentalità.
In cosa ci differenziamo veramente dagli altri? Perché ci ostiniamo ancora a non comportarci come italiani?
Non è colpa dell’odio interno, dell'eterna contrapposizione tra nord e sud: da noi avrà assunto anche tinte forti e sopra ogni riga, ma non si pensi che un parigino si senta fratello di ogni pescatore della Normandia o contadino della Provenza, perché non corrisponde alla realtà. Tuttavia i francesi ed i tedeschi sono popoli, gli italiani non ancora.
Noi non vogliamo capire che lo Stato siamo noi, che amarlo, difenderlo e rispettarlo corrisponde ad amare, difendere e rispettare noi stessi. Come si può provare del sano patriottismo quando non ci riconosciamo ancora nello Stato che ci rappresenta, ma piuttosto siamo i primi ad offenderlo, ad ingannarlo ed a rinnegarlo appena ne abbiamo l’occasione?
Questo autolesionismo sterile ci priva di un’opportunità, quella di influire come popolo nella vita del nostro paese: i tedeschi scioperano in blocco per l’aumento del prezzo del latte, non lo acquistano; i francesi si ribellano se il governo tocca loro una legge sul lavoro sulla quale non sono d’accordo; sono parte attiva come comunità nella vita del loro paese, si danno un peso. E noi? Dobbiamo ancora capire che pagare le tasse vuol dire dare a noi stessi.
Non aspettiamo il giorno del bicentenario per ricordarci che vogliamo bene allo stato italiano.
Daniela Manca
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