giovedì 4 novembre 2010

Rave parties, tra illegalità, droga ed alcool



Rave party: molti conoscono, ma non tutti sanno. Quante volte abbiamo sentito questa parola? Tante. Eppure non abbiamo idea della loro pericolosità. O forse ce l'abbiamo, ma non la capiamo appieno.
Rave party è il termine utilizzato dall’inizio degli anni '80 per descrivere feste caratterizzate dalla presenza di musica elettronica, con ritmo incalzante e giochi di luce. Letteralmente vuol dire "festa-delirio". Questi eventi nascono negli U.S.A. ed in Europa in un clima di generale contestazione, incentivate da movimenti culturali tesi a denunciare problemi politici, difficoltà economiche e disagi sociali.

Sin qui tutto bene, niente da obiettare. La musica in questione, poi (acid house, techno, jungle, drum & bass), può piacere o meno, ma si tratta di gusti che sarebbe ingiusto sindacare in questa sede. Il problema è che la musica, assordante e dal ritmo potente, diventa un elemento chiave che, insieme ad altri ingredienti ben più pesanti - come illegalità, droghe ed alcool - contribuisce a formare un cocktail micidiale e pericoloso. Purtroppo, molto spesso, l'ultimo che un ragazzo possa "bere" nella sua vita.

Qualche giorno fa, nei quartieri romani del Casilino e di Tor Cervara, sono stati sventati due rave parties. Ed è stata una fortuna, per i ragazzi partecipanti, che la Polizia abbia impedito il loro svolgimento. Tuttavia, non sempre i rave parties vengono bloccati in tempo, ed in quei casi bisogna apprendere dai giornali notizie spiacevoli: come quella apparsa sui quotidiani il 3 ottobre scorso, riguardante il coma di una ventiduenne romana a Fara Sabina; oppure quella della morte di un diciannovenne di Carpi, morto nel modenese pochi giorni dopo.

Ma andiamo per gradi. Innanzitutto l'illegalità di queste manifestazioni, anche se rappresenta un male minore, non può essere trascurata. Il rave party ignora il concetto di proprietà privata, occupando gli spazi abbandonati delle grandi città (come ad esempio fabbriche o edifici pubblici non più utilizzati): e l'occupazione di suolo pubblico o di una proprietà altrui è reato. Il questore di Roma Francesco Tagliente, in occasione degli ultimi episodi verificatisi, ha invitato i proprietari di edifici e terreni in disuso a vigilarli e metterli in sicurezza. Altra faccia della medaglia, è poi la mancanza di autorizzazione ad organizzare tali raduni da parte degli organi locali. C'è però da dire che non sempre tale autorizzazione manca: in tal caso, di pari passo, non vi può essere occupazione indebita di proprietà. Un esempio è lo "Street Rave Parade" di Bologna, autorizzato ormai ogni anno dal questore di Bologna e pienamente legale.

E' da qui però che ci ricolleghiamo al secondo problema dei rave parties: droghe ed alcool. Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, ha più volte cercato di impedire lo svolgimento di tali raduni, giungendo persino a riprendere il questore della sua città per aver utilizzato metodi troppo morbidi a tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. E' infatti compito di ogni sindaco garantire la salute dei propri concittadini e la sicurezza e la serenità di chi si trova a dover ascoltare la musica troppo alta di un vicino rave ad ore improbabili della notte (ma anche di giorno, come spesso accade), o a fronteggiare giovani ubriachi e sotto l'effetto di stupefacenti. Nei raves ordine pubblico e sicurezza non sono parole conosciute, né concetti auspicati. Sicuramente lo spaccio di droghe è illegale, ma non è tanto questo il problema. Il problema è il divertimento dei ragazzi. Divertimento che si ottiene solo se si raggiunge lo "sballo", o ci si "brucia" il cervello. E' interessante leggere il rapporto stilato ogni anno dall'Asl di Bologna sul quadro epidemiologico locale (prendiamo ad esempio Bologna e dintorni, ma il quadro non cambia molto nelle altre regioni italiane). I ragazzi iniziano ad utilizzare le droghe leggere molto presto, già all'età di 15-16 anni, per poi passare anno dopo anno a droghe più pesanti. Quello che dispiace notare è che l'uso di droghe e di alcool è sempre più frequente: i casi di ricovero di fatto sono aumentati negli ultimi anni. C'è però anche un aspetto positivo: le forze dell'ordine confermano anno dopo anno il loro operato, come si evince dal sito della Polizia di Stato, leggendo i dati riguardanti gli arresti di spacciatori e le confische di sostanze stupefacenti.

Ma può essere sufficiente soltanto una repressione cieca del fenomeno o forse serve anche aiutare a far comprendere la sua pericolosità? La prevenzione diviene allora fondamentale. L'Italia, dal canto suo, ha adottato misure in accordo con il PdA (piano d'azione) europeo in tema di tossicodipendenza e con lo EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction). Il piano quadriennale (2009-2012) si divide in 5 aree: coordinamento nazionale tra regioni, enti e Stato; riduzione della domanda tramite la sensibilizzazione delle scuole, delle famiglie ed il coinvolgimento dei ragazzi stessi; riduzione dell'offerta con la lotta alla criminalità organizzata; cooperazione internazionale; infine, informazione, formazione, ricerca e valutazione per aiutare gli operatori del settore ad essere più efficaci.

La volontà pare esserci, ma purtroppo non è mai abbastanza. Le chiacchiere sono le solite. Spetta a noi stessi non cadere nella trappola, ma anche alle persone che ci stanno intorno impedircelo, con i fatti, nonché alle istituzioni. Auspicando che le belle parole diventino presto fatti.

Andrea Giocondi

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